SCIUR PADRUN

Padroni contro, lite Marsiaj-Cellino

Finisce a schifio il pranzo tra i presidenti di Unione Industriale e Api. A scatenare l'ira del suocero della Herzigova la presenza a tavola del "traditore" Decisi. Ma via Fanti sente il fiato sul collo dei cugini, molto aggressivi nel portargli via associati

Un boccone indigesto quello che a un certo punto ha fatto alzare da tavola, posare con stizza il tovagliolo e salutare con pochi convenevoli i commensali il presidente dell’Unione Industriale di Torino, Giorgio Marsiaj. Quello che doveva essere ed era iniziato come un pranzo di lavoro tra il numero uno di via Fanti e Fabrizio Cellino, da qualche mese tornato alla guida dell’Api (lo era già stato tra il 2000 e il 2004), l’organizzazione della piccola e media impresa (oltre 2mila iscritti), accompagnati dai rispettivi direttori, si è concluso anzitempo con la plateale uscita del padrone di casa, non prima che i toni si alzassero fino al livello di guardia. Per tutta la durata del pasto Marsaj è parso piuttosto irrequieto, le sue parole stentoree accompagnate dal picchiettio insistente delle dita, a quanto si racconta particolarmente contrariato dalla presenza di Pierangelo Decisi, titolare della Sigit, azienda dell’automotive, ma soprattutto fuoriuscito recentemente dall’Unione Industriale, dove ha rivestito per qualche anno la carica di vicepresidente, proprio per dare man forte al nuovo mandato di Cellino. Un traditore, agli occhi di Marsiaj.

Un nervo scoperto, quello della periodica transumanza di associati dall’una all’altra organizzazione datoriale, a cui l’arrembante campagna acquisti scatenata negli ultimi tempi dall’Api ha certamente contribuito alimentando tensioni e ripicche. E così non ci è voluto molto perché dopo qualche ragionamento sulla situazione attuale e quella futura, un po’ di crisi e un po’ di Pnrr, sull’esigenza condivisa di compattare il fronte imprenditoriale, si arrivasse al piatto forte. La discussione si è fatta flambé, lo scambio dalle vedute passa alle accuse e, forse esagerando o forse no, nella sala del ristorante di via Fanti rimbomba un vociare con volumi da grammofono su cui gira un vecchio vinile della Voce del Padrone. Il rischio che un bel po’ di associati decidano di lasciare l’Unione, magari allettati anche da costi minori a fronte di servizi sostanzialmente equiparabili, per numero e qualità, è per Marsiaj uno spettro che si allunga sul suo operato (sempre più contestato anche all’interno) proprio nel momento in cui proietta mire di potere su altri palazzi (pare abbia messo gli occhi sulla presidenza della Camera di Commercio).

Fare fronte comune è, anche per i padroni, facile a dirsi assai meno metterlo in pratica. Del resto, a ben guardare, la querelle odierna appare una sorta di nemesi di quanto accadde, a parti invertite, ormai un bel po’ d’anni fa. Era la primavera del 1996 quando un centinaio di imprese, guidate dall’allora responsabile delle relazioni sindacali Giuseppe Aghemo (subito accasatosi in via Fanti), abbandonarono l’Api per confluire nell’Unione Industriale presieduta da Bruno Rambaudi. Allora il numero uno di Api, Giuseppe Di Corato, fu costretto alle dimissioni, ma i presagi, gli auspici e i palesi tentativi di un’annessione dell’associazione delle piccole imprese da parte della concorrenza confindustriale non avrebbero poi trovato seguito.

Quasi trent’anni dopo, una sorta di contrappasso. Impossibile da digerire per il fumantino Marsiaj che non nuovo a scene plateali (si ricorda l’abbandono del tavolo del fondatore della Sabelt, tre anni fa, quando l’uscente Dario Gallina invitò sul palco quale vice il giovane Marco Lavazza, visto come un concorrente al vertice dell’Unione) si è alzato e se ne è andato. Senza neppure arrivare alla frutta.

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