LA CORTE DI SALÒ

Dopo la Fascina nozze con Salvini, così la Ronzulli sistema Forza Italia

Fatte fuori dalle liste tutte le anime critiche del partito, la sensale di Arcore s'appresta ad accompagnare Berlusconi all'altare. Come il nuovo cerchio magitragico di Arcore ha messo ai margini Letta e fatto becco Tajani. E intanto molti se ne vanno

Forza Italia ultimo atto. Con l’esclusione dalle liste elettorali della vecchia (e giovane) guardia moderata il partito di Silvio Berlusconi si prepara a quello che, secondo molti, sarà il suo prossimo destino: essere fagocitato dalla Lega e diventare una dependance di Matteo Salvini. Decimazione o mattanza che sia, una cosa è certa: molti volti noti da ottobre non saranno più presenti nei banchi di Camera e Senato.

Estromissioni “eccellenti”, a volte persino sorprendenti. Alcuni come il sottosegretario all’Editoria, Giuseppe Moles, delega a dir poco strategica per l’impero berlusconiano, l’ex vicepresidente della Camera, Simone Baldelli, tra i più colti e brillanti parlamentari, l’ex governatrice della Regione Lazio, Renata Polverini e Andrea Ruggieri, nipote di Bruno Vespa, non sono stati ricandidati. Altri, invece, sono stati inserite in posizioni fortemente a rischio. Si tratta di figure di primissimo piano come il deputato Valentino Valentini, ministro degli Esteri personale del Cav (regista dell’accordo Pratica di Mare del 2002), il viceministro al Mise, Gilberto Picchetto, dai solidi legami con la famiglia e l’azienda, e il fedelissimo Sestino Giacomoni, troppo legato a Gianni Letta, l’eminenza grigia finito nel cono d’ombra. “Non sempre si può giocare come titolari o come punte, a volte ci può essere chiesto di giocare stando un po’ più indietro oppure di stare in panchina, ma non per questo un giocatore cambia squadra”, dichiara oggi Giacomoni, confermando di non voler abbandonare il partito: “Chi crede nei nostri ideali, chi crede nella nostra bandiera, chi crede nella bandiera di FI e soprattutto chi crede nel presidente Berlusconi, non cambia squadra, non tradisce la sua bandiera perché non lo fanno giocare come titolare”. E ha aggiunto: “Per questo dico che nonostante l’amarezza per alcune scelte che sono state fatte, io comunque non mollo, anzi mi impegno ancora di più”. Era evidente il riferimento agli addii eccellenti di Mara Carfagna e Mariastella Gelmini.

Proprio oggi, però, altri quattro parlamentari hanno lasciato Forza Italia. Carlo Sarro, Domenico De Siano, Marzia Ferraioli e Antonio Pentangelo, tutti campani, hanno indetto una conferenza stampa per esprimere la loro amarezza (se così si può dire...) per essere stati esclusi. “C’è stata una forte mancanza di risposte ai nostri tentativi di contatto con il vertice nazionale di Forza Italia riteniamo quindi che di fronte a questo silenzio che rende ancora più incomprensibile quanto accaduto non ci siano più le condizioni di agibilità politica per continuare a militare in Forza Italia”, ha detto Sarro senza troppi giri di parole. Ancora più esplicito è stato De Siano: “Si è costruito una sorta di club dove ci sono gli iscritti candidati alle prossime elezioni politiche. Sono tanti anni che sono in politica e guardando i nomi di alcuni dei candidati in Campania, potranno essere i più bravi, io non li conosco, non so chi siano, non li ho mai sentiti nominare”. E, infine, l’affondo: “Quale è stata la logica che ha portato i responsabili a formare le liste? Quella del merito, dell’appartenenza al territorio, della forza elettorale? Forse quella dell’appartenenza a un club”. Parole molto dure che lasciano presagire anche tutta la rabbia della base dei forzisti campani. Una rabbia molto simile a quella degli azzurri lucani che si sono trovati il presidente del Senato, la veneta Maria Alberti Casellati, candidata al posto di Moles.

Una situazione comune a gran parte dei partiti regionali, che sono stati in larga misura estromessi dalle scelte sulle candidature, subendo logiche di “occupazione” del vertice nazionale o di un ceto locale mosso esclusivamente dall’esigenza di tutelare sé stesso. Come è avvenuto in Piemonte, dove oltre a Pichetto si trova ad affrontare una mission impossible Claudia Porchietto, una delle deputate più preparate e stimate, anche trasversalmente, vicecapogruppo e responsabile nazionale Attività Produttive, sloggiata dal suo collegio uninominale vinto alle scorse elezioni, pur di non mettere a repentaglio la rielezione della trimurti: il coordinatore Paolo Zangrillo, fratello di Alberto medico personale di Berlusconi, il suo portaborse Roberto Rosso (transitato in quasi tutti i partiti di centrodestra) e Roberto Pella, legatissimo alla dama di ferro della Corte di Arcore Licia Ronzulli. Un piano studiato fin nei minimi dettagli, al punto da riuscire con la candidatura della stessa Ronzulli e del Cav a ipotecare l’elezione di uno dei tre.

Il risultato è che, nei territori, i pochi militanti rimasti sono a dir poco frustrati e ancor meno motivati ad affrontare una campagna elettorale che potrebbe essere l’ultima per Forza Italia. Perché la sensazione, quasi una certezza, è che certe scelte abbiano una logica ben precisa. È noto che, nella composizione delle liste dei candidati, c’è stata la mano della senatrice Ronzulli, l’esponente più influente del cerchio magitragico di Arcore (e di Villa Grande). Così come nel Pd il braccio destro di Enrico Letta, Marco Meloni, soprannominato “epurator”, ha fatto fuori tutti i renziani, anche la Ronzulli ha dato vita alla mattanza per non avere tra i piedi parlamentari contrari all’abbraccio (mortale) con la Lega di Salvini. Un ruolo simile a quello svolto a suo tempo da Rosi Mauro con il malandato Umberto Bossi. Una corte di Salò in cui il sovrano è tenuto sotto controllo dalla coppia Ronzulli-Marta Fascina, quest’ultima la “quasi sposa” incaricata di spicciare casa (ovvero filtrare telefonate e centellinare, selezionando con cura gli incontri). Perché tutti sanno che, dopo il voto, in base al risultato elettorale, è in programma la nascita di una federazione o qualcosa di simile. Ancora non si sa. Quel che si sa è che, in tutta questa vicenda, Antonio Tajani, sulla carta il numero due del partito dopo Berlusconi, non ha praticamente toccato palla e che il ruolo di coordinatore nazionale è solo la foglia di fico per coprire chi comanda davvero dentro Forza Italia.

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