SACRO & PROFANO

Cattolici "irrilevanti" nelle urne, dissenso vietato al Concistoro

Dopo le stagioni della testimonianza e del dialogo oggi c'è chi proclama la necessità dell'assenza. Una marginalità che accomuna progressisti e conservatori. Le due nuove berrette rosse piemontesi. Papa Francesco, la corte e il bunker di Santa Marta

Il Concistoro era in origine una riunione in cui, prima di prendere una decisione, il papa chiedeva il parere dei cardinali, e non era raro che spesso dissentissero. Oggi è una riunione in cui il pontefice comunica decisioni già prese e uno di essi solo parla a nome di tutti assecondando le decisioni papali. La sinodalità – sulla quale si farà pure un sinodo! – consiste nell’approvare ciò che il papa ha già deciso. Oppure tacere.

In occasione del Concistoro dei cardinali che si terrà il 29 e 30 agosto in Vaticano, sarà letta ai porporati una relazione per approfondire i temi connessi alla costituzione apostolica Praedicate Evangelium, la riforma della curia romana che aveva suscitato all’uscita ilarità e commenti critici. Il testo del discorso, redatto dal segretario del consiglio cardinalizio, il vescovo albese monsignor Marco Mellino, che doveva rimanere segreto, è già circolato; alcuni si sono accorti come esso altro non sarebbe che un pot-pourri di riflessioni di Paolo VI uscite nel 1967 per la riforma della curia e di Giovanni Paolo II nel 1988 quando anch’egli, per lo stesso scopo, vi pose mano. Altro che novità! L’occasione era propizia per avanzare osservazioni da parte di qualche cardinale, soprattutto quelli più anziani i quali, non avendo nulla da perdere, possono parlare in libertà. Saputa la cosa, lo zelante monsignor Mellino – di cui si dice che sarà premiato con la presidenza della pontificia commissione per l’interpretazione dei testi legislativi – è corso ai ripari e ha precisato che dopo la lettura non sono previsti interventi e neanche domande. Così va la Chiesa sinodale e pare che un porporato abbia definito il concistoro come «un incontro dove il papa vuole noi cardinali nei banchi e lui alla lavagna». Qualche ben informato si è chiesto se il noto prelato torinese che aspirava al posto di Mellino – ed è dovuto rientrare in diocesi – non l’abbia infine scampata bella.

Con molto acume, Alberto Melloni – ormai passato fra i critici di Bergoglio – si augura invece che un dibattito avvenga e ha osservato come il testo della riforma rappresenti un passo indietro rispetto al Vaticano II poiché «stabilisce che ogni cristiano può servire Papa e collegio episcopale perché il pontefice gli delega un po’ della sua potestà di giurisdizione, salvo poi pretendere l’ultima parola su tutto». Si tornerebbe così a quando nella Chiesa si separavano i poteri di ordine, quelli cioè derivanti dal sacramento dell’ordinazione episcopale, e i poteri di giurisdizione. Sarà infatti la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II Lumen Gentium a far riprendere coscienza della natura sacramentale, prima che giurisdizionale, dell’episcopato e dei poteri ad esso connessi, non solo quelli di santificare e insegnare ma anche quello di governare. Inoltre, lo storico della “scuola di Bologna” ha rivelato come «tutti sanno che è pronta la legge sulla rinuncia che definirà lo status del vescovo emerito di Roma, peraltro già esemplata dalla prassi ratzingeriana» e come sia altresì noto «che Francesco sta facendo riscrivere una riforma del conclave».

Ma la notizia più sorprendente è stata quella data dal cardinale Angelo Becciu il quale ha riferito che il Santo Padre, vivaevocis oraculo, lo ha invitato al concistoro pubblico del 27 agosto in cui saranno creati i nuovi cardinali. E così dopo averlo umiliato e sottoposto – sulla base di articoli di giornale – alla privazione dei suoi diritti e dopo averlo mandato a processo per il fraudolento utilizzo dei fondi di dell’Obolo di San Pietro il cardinale Becciu rientra, per decisione sovrana, nel collegio cardinalizio, sia pure dalla porta di servizio e riacquista almeno la presunzione d’innocenza. Un caso che si sta rivelando sempre più privo di fondamento e sta facendo emergere come il Papa e il cardinale Pietro Parolin erano perfettamente al corrente di tutto quello che avvenne in merito al palazzo di Londra. Secondo Dagospia, il Papa avrebbe reintegrato Becciu per dare un segnale a chi gli ha fatto lo “scherzo” di ritrovarsi davanti mercoledì scorso all’udienza generale per il “baciamano” nientepopodimeno che la “papessa” Immacolata Chaoqui, grande accusatrice del cardinale sardo. 

Più volte e in più occasioni, Papa Francesco ha ammonito i suoi collaboratori, e specialmente i cardinali, di non pensare di essere in una corte – l’antica corte pontificia – fatta di intrighi, favoritismi e cordate ma di aspirare alla santità. Oggi, sono sempre più numerosi gli osservatori di cose ecclesiastiche che rilevano come  in Vaticano il clima sia invece proprio quello di una corte che qualcuno ha paragonato al Cremlino dei  tempi di Stalin, dove si vive nel perenne timore  di essere presi nel mirino dall’inner circle di Santa Marta, ormai ridotto a bunker e dove, da un momento all’altro, e senza una motivazione, si può essere presi e scaraventati ovunque soltanto per essere sospettati di avere un’opinione non tanto dissonante, quanto libera.

Nel concistoro pubblico di ieri nella basilica di San Pietro, il Santo Padre ha imposto ad Arrigo Miglio, arcivescovo emerito di Cagliari, già vescovo di Ivrea e di Iglesias, la berretta cardinalizia assegnandogli il titolo presbiterale di San Clemente in Laterano, antichissima e splendida chiesa romana di cui era stato titolare il cardinale Amleto Giovanni Cicognani, segretario di Stato di Giovanni XXIII e dove vi è sepolto.  Avendo compiuto da pochi giorni gli ottant’anni, “la volpe di San Giorgio”, non entrerà in conclave ma un compito lo assolverà sicuramente. Godendo – almeno finora – della piena fiducia del papa, il suo influsso sulle prossime nomine dei vescovi piemontesi sarà notevole. Lo hanno dimostrato la buona presenza di vescovi e di preti – non solo eporediesi – alle “visite di calore” nell’aula Paolo VI e alla concelebrazione presieduta dal neo-cardinale nella basilica di San Paolo fuori le mura dove, nell’attiguo convento benedettino, sono rifulsi i doni di prudenza e fortezza che gli hanno fatto meritare l’agognata porpora. Durante l’estate, la dimora canavesana di Sua Eminenza è stata meta di pellegrinaggi e non si contano gli inviti che sta ricevendo dai parroci di tutto il Piemonte per le feste patronali. A chi ha chiesto all’immortale monsignor Luigi Bettazzi come mai non sia stato ancora fatto cardinale, il “vescovo rosso” ha risposto che «sarà per la prossima volta». Ma a proposito di Miglio e della corte bergogliana, qualche organo di stampa ha ricordato lo stretto legame che univa l’ex arcivescovo di Cagliari al cardinale Becciu e le dichiarazioni che quest’ultimo ha reso all’udienza processuale del 5 maggio: «Infine, voglio ulteriormente precisare – sotto il profilo delle referenze ricevute – che la signora Cecilia Marogna (imputata insieme a Becciu nel processo ndr) godeva della fiducia dell’allora arcivescovo di Cagliari, monsignor Arrigo Miglio. Quest’ultimo mi chiese di presentarla al cardinale Dominique Mamberti prefetto della Segnatura apostolica, per esporgli un caso della sua diocesi». Sarà solo questione di “sarditudine”?

La berretta cardinalizia è stata imposta anche al cuneese Giorgio Marengo, missionario della Consolata, vescovo titolare di Castra Severiana e prefetto apostolico di Ulan Bator in Mongolia il quale, con in suoi 48 anni, è il più giovane membro del collegio cardinalizio. A lui è stato assegnato il titolo presbiterale della chiesa di San Giuda Taddeo Apostolo ai Cessati Spiriti.

Il fondatore della comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, ha rilevato sul Corriere della Sera come «i cattolici italiani non sembrano rappresentare un interlocutore nel Paese», sarebbero cioè irrilevanti. Il poco di mondo cattolico che ancora ha la consapevolezza di un proprio ruolo politico presenta una spaccatura verticale la quale, prima di essere politica, è teologica. La dislocazione elettorale tra chi vota Pd o centrodestra è conseguenza – cosa che non era in passato – di una visione differente del rapporto tra la religione cattolica e la politica, espressione di una contrapposizione che ormai pare assodata. Esistono due paradigmi teologici e due sensibilità ecclesiali e civili diverse, se non opposte. Si può dire – grosso modo – che i primi considerano una strumentalizzazione ideologica e di potere se i cristiani cercano di plasmare le leggi e, in nome dell’autonomia dell’ordine temporale, rifiutano una presenza visibile e dottrinalmente accettata. I secondi, invece, credono che la politica abbia per essenza bisogno della religione cattolica e che l’ordine sociale o il bene comune non si reggano da soli. Oggi due cattolici qualunque, prima di fare qualcosa insieme, devono dirimere una pletora di questioni teologiche di principio solo per cominciare a capirsi. Per questo ogni progetto per rifare un partito cattolico è destinato puntualmente a fallire.

Torino rimane una delle roccaforti storiche del cattocomunismo dove è maggioritaria, fra il clero e i laici impegnati nelle parrocchie, l’opzione a sinistra che però ha modificato nel tempo la sua agenda. Abbandonati o messi in secondo piano i diritti cosiddetti sociali, variamente declinati secondo lo schema marxista della lotta di classe – cara ai cattolici degli Anni Settanta – e del conseguente conflitto tra i blocchi sociali, si impongono oggi i diritti individuali, i news right dell’ideologia gender e del politicamente corretto, secondo le più svariate modalità in cui si manifesta quella che Benedetto XVI ha definito come la «dittatura del relativismo». In tale schieramento si collocano anche i resti di quel cattolicesimo popolare e sociale – oggi tentato dal Terzo polo – del quale non si capisce bene in che cosa si distingua, sui temi eticamente sensibili, dalla sinistra ex comunista. Sul fronte opposto, almeno secondo alcune indagini sociologiche, stanno quei sempre più pochi e anziani fedeli delle Messe domenicali – cattolici «per tradizione e devozione» – i quali si limitano a votare i partiti del centrodestra illudendosi che possano difendere i principi fondamentali di vita e famiglia, senza considerare come le ideologie che hanno scristianizzato le élites italiane nel corso del Novecento hanno contaminato anche loro. Il risultato è che la Chiesa, rispetto a qualche decennio fa, non interessa ai politici, sanno che perdendo il popolo, vescovi e parroci non mobilitano più il consenso e che anche quando ancora lo conservino, non sono in grado di orientarlo. Il bello è che questa marginalità – o per meglio dire insignificanza – piace a molti preti e vescovi fautori di quella «Chiesa umile» la quale, più che un ospedale da campo, assomiglia sempre di più ad una Rsa di scarsa qualità. Contenti loro…

Oggi, per i preti e i vescovi più “avanzati”, anche la dottrina sociale della Chiesa è vista con sospetto e quindi vi è il rifiuto di far nascere dalla fede un giudizio culturale sui temi più importanti della vita pubblica del Paese. La parola d’ordine è «non essere divisivi». Qualche anno fa il cardinale Angelo Scola, quando era ancora arcivescovo di Milano, in una riunione del consiglio pastorale, a quei preti che avevano deciso di non trattare nella vita parrocchiale temi che potessero essere “divisivi”, disse loro che sbagliavano, perché questi temi non possono essere ignorati. Non si tratta di indicare chi votare, ma di fornire ai fedeli i criteri di giudizio per eventualmente scegliere chi votare, liberamente e senza attribuire alla politica effetti salvifici. Ed è proprio qui che la Chiesa è venuta meno, le parrocchie sono comunità di solidarietà ma non di missione, la fede soggettiva non si collega più alle verità oggettive credute. Oggi i teologi che contano e anche molti vescovi auspicano che i cattolici si sciolgano in un generico e mondano «camminare insieme». Che però non è più quello della famosa lettera pastorale del cardinale Michele Pellegrino dove l’orizzonte era ancora costituito dal dialogo e dalla presenza.

Quella dell’irrilevanza è in fondo la parabola perfettamente compiuta del cattolicesimo progressista che Louis Bouyer (1913-2004), pastore luterano poi convertitosi al cattolicesimo e ordinato prete, professore all’Institut Catholique di Parigi, consultore ai lavori del Concilio Vaticano per la liturgia e che Paolo VI voleva fare cardinale, aveva ben espresso: «Il cattolico degli Anni Trenta e Quaranta si proponeva la conquista. Dopo la guerra ha ripiegato sulla testimonianza. Con i preti operai ha tentato la presenza. Dopo il Vaticano II ha scoperto il dialogo. Poi ha cominciato a dire che voleva limitarsi ad accompagnare. E adesso teorizza la necessità dell’assenza. Così il cerchio si è chiuso finendo nel nulla».

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