SACRO & PROFANO

I "richiami" di Repole ai religiosi.
Il "silenzio su Dio" della Chiesa

L'arcivescovo di Torino nell'incontro con superiori e parroci degli Ordini invita a pensare meno alle cose terrene e concentrarsi sugli impegni della vita consacrata. Filosofi e studiosi di ogni estrazione sollecitano a tornare ai fondamenti della fede

L’arcivescovo Roberto Repole ha incontrato il 24 settembre scorso, per la prima volta, i superiori responsabili di istituti secolari, di vita consacrata, parroci e rettori appartenenti a ordini religiosi di Torino e Susa. Pur in una profluvie di distinguo, excusationes e citazioni del Vaticano II, non sono mancati alcuni garbati ma inequivocabili richiami che mettono in luce – a contrariis – i difetti della vita religiosa. Il primo invito è quello a tenere desta «l’attenzione escatologica» e cioè a pensare meno alle cose di quaggiù e di più a quelle del Cielo. Il secondo è la «cura per la preghiera e la celebrazione vissuta» come centrale e fondante scopo del consacrato perché se si trascura questo aspetto «mi chiedo a cosa serve il nostro tempo». Il terzo invito è quello di «crescere nella spiritualità», abbandonando ogni assorbimento attivistico, poiché oggi la grande sete degli uomini è quella di Dio. Infine, la necessità di porsi la domanda se la vita consacrata sia fonte di vera umanizzazione o non, a volte, il suo opposto. Il messaggio appare chiaro, l’impegno sociale totalizzante e frenetico di molti religiosi, rischia di inaridire e vanificare la loro vocazione, se non di disumanizzarla. Non è mancato un cenno, da parte di Sua Eccellenza, al prossimo ridimensionamento delle parrocchie definito – attingendo nell’inesauribile lemmario dell’ecclesialese – come «il ripensarci come Chiesa sul territorio». Per questo saranno inviate alle comunità delle «griglie» in cui si proporranno «cose nuove» e si indicheranno come si «taglieranno i rami secchi». Ah! ça ira.

La pagina ufficiale di Facebook della Segreteria del Sinodo dei vescovi ha pubblicato un logo in cui compaiono un festante e colorito gruppo di giovani tra i quali  spicca una ragazza che indossa la casula e anche la stola, paramenti liturgici che da sempre contraddistinguano lo stato sacerdotale. Forse più di un auspicio…

Il filosofo e saggista francese Michel Onfray, conosciuto anche come “ateologo” poiché nei suoi scritti celebra i sensi, l’ateismo filosofico, l’edonismo e il piacere, in occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro intitolato La nef des fous: Des nouvelles du Bas-Empire, ha rilasciato varie interviste in cui ha parlato anche della Chiesa, che si sarebbe arresa al politicamente corretto, poiché «papa Francesco, a differenza del suo predecessore, Benedetto XVI, che gli ha resistito, è l’uomo della decadenza. Dal Concilio Vaticano II, la Chiesa non vede l’ora di pagare ogni pegno alla modernità. Ha liquidato l’ontologia, la metafisica, il sacro, la trascendenza, in favore di una fredda morale. Credendo di tenersi così i suoi seguaci, li ha persi».

Il teologo e pastore valdese Paolo Ricca, nel suo recente libro intitolato Dio. Apologia, indaga la paradossale situazione dove le chiese cristiane storiche «parlano molto di migranti da accogliere, di diritti umani, di habitat naturale da proteggere, di fraternità umana da praticare – tutte cose sacrosante – ma ormai pochissimo di Dio, quasi come non sapessero più che cosa dire». Parlare di Dio è diventato per i credenti come qualcosa di bizzarro, di sconveniente, di troppo intimo. Da parte delle Chiese è calato oggi un «silenzio su Dio», quasi che non sia invece il loro unico fine. Per cui sono spesso gli atei come Onfray a parlare di Dio, sia pure in absentia.

Anche Gianfranco Brunelli, uno degli intellettuali cattolici progressisti più acuti lo ha ben compreso quando scrive su Il Regno che l’unica possibile risposta al cambio antropologico radicale in atto non può che essere quella di non dare per scontata la fede, ma «ripartire da una prima evangelizzazione o alfabetizzazione della fede» e cioè «ripartire da Dio». Così Sergio Belardinelli, professore di sociologia dei processi culturali all’Università di Bologna, sostiene che oggi «l’unica cosa che conta», per la Chiesa come per il mondo è «Dio, la croce di Cristo e il suo Vangelo di salvezza» e non quel «sovrappiù» che sono l’ambiente o la lotta alla povertà.

Questo lo aveva capito benissimo Benedetto XVI che aveva fatto del «ripartire da Dio» la linea maestra del suo pontificato, così come in Italia, il cardinale Camillo Ruini con il «progetto culturale» della Cei. Rievocando il suo cavallo di battaglia, nel 2019, il papa emerito scriveva che la «morte di Dio» non dà libertà ad una società ma, al contrario, «significa la fine della sua libertà perché muore il senso che offre orientamento» facendo venire meno «il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male». È quanto avviene nella società occidentale, diventata «una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire, dove si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano». E così «anche noi cristiani e sacerdoti – osserva – preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che sembra non avere utilità pratica. Dopo gli sconvolgimenti della guerra, in Germania, avevamo adottato la nostra Costituzione dichiarandoci esplicitamente responsabili davanti a Dio come criterio guida. Mezzo secolo dopo non era più possibile, nella Costituzione europea, assumere la responsabilità di fronte a Dio come criterio di misura ma solo come affare di partito di un piccolo gruppo che non può riguardare la comunità nel suo complesso. Dio è diventato affare privato di una minoranza».

In questo senso – si parva licet componere magnis – i risultati delle elezioni di domenica scorsa hanno ampiamente dimostrato – se mai ce ne fosse stato ancora bisogno – l’assoluta irrilevanza della Chiesa italiana. Nel Pd torinese, i più penalizzati sono stati quei candidati appartenenti alla cosiddetta “area cattolica” democratica con la mancata rielezione di Stefano Lepri e Davide Gariglio, i quali hanno potuto misurare quanto le loro aderenze parrocchiali siano evaporate. Non c’è da meravigliarsi. Come scriveva Luca Ricolfi su Repubblica del 30 settembre, il Pd «è diventato un “partito radicale di massa”, come a suo tempo aveva profetizzato il filosofo Augusto Del Noce immaginando il futuro del Pci».

Ritornando al sempre lucido vegliardo Ruini, è uscita sul Corriere della Sera una sua intervista sui risultati elettorali che avrà fatto venire l’orticaria ai progressisti – magari anche a quelli dimoranti a Santa Marta – ma che si segnala per schiettezza e realismo. Il porporato ha detto, tra le molte cose, che «la cultura politica è prevalente a sinistra; ma il Paese è in buona parte a destra», tale contraddizione «esiste però in tutte le democrazie dove gli intellettuali spesso sono progressisti mentre la gente bada agli interessi concreti e tende ad essere più conservatrice» in un processo di distacco tra élite e popolo che si è ultimamente accentuato. Circa la Meloni: «Per me è una persona simpatica e “tosta”, come si dice a Roma. Una chiave del suo successo è la chiarezza e la coerenza delle sue posizioni. Mi è sembrata molto perspicace, rapida nell’inquadrare i problemi». Sul perché i moderati, che una volta votavano scudo crociato ora votano la fiamma, Ruini non ha dubbi: «Lo fecero fino a quando la Dc sapeva rappresentarli. Poi nella Dc sono prevalse le istanze di sinistra. Ma la sinistra aveva già i suoi partiti», in tal senso il cattolicesimo politico ha da tempo esaurito la sua spinta propulsiva. Per l’ex presidente della Cei, oggi il problema dei problemi è il crollo demografico che fin ora la politica ha affrontato in modo insufficiente, così come occorrerebbe che « la 194 sia finalmente attuata anche dove dice che lo stato  riconosce il valore della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio», mentre le unioni civili «dovrebbero essere differenziate realmente, e non solo a parole, dal matrimonio tra persone dello stesso sesso. Devono essere unioni, non matrimoni». Se papa Francesco, come molti sostengono, sia l’ultimo leader rimasto alla sinistra planetaria, Ruini non ha dubbi: «Certamente, più e prima che il leader sinistra planetaria, è il papa della Chiesa cattolica».

Nella Chiesa tedesca si è avuto il preavviso di quanto accadrà al Sinodo, dove se ne vedranno delle belle. Il cardinale Kurt Koch, dal 2010 presidente del pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, impegnatissimo sul fronte ecumenico e noto per il suo carattere mite e dialogante, commentando il Cammino sinodale tedesco, ha detto che c’è molta incertezza nella Chiesa in Germania «che non sembra essere libera dalla tentazione di trasformarsi in una “Chiesa tedesca”». Al presidente della conferenza episcopale monsignor Georg Bätzing, tale affermazione è parso un riferimento ai «cristiani tedeschi» e cioè a quel movimento della chiesa evangelica che, dopo l’avvento di Hitler in Germania, si proponeva di realizzare una sintesi tra la fede riformata e il nazionalsocialismo cambiando sostanzialmente il contenuto della Rivelazione, in particolare introducendo il famigerato «paragrafo ariano». Ad essa reagì nel 1934 la Dichiarazione di Barmen e la chiesa confessante di Dietrich Bonhoeffer con l’opposizione al regime. Monsignor Batzing – sempre pronto ad impallinare chi osa criticare il sinodo – si è detto indignato del commento del cardinale Koch intimandogli con veemenza di scusarsi e di smentire. In sostanza, Koch – che non ha smentito ma solo precisato – ha detto che i segni dei tempi sono qualcosa di diverso dalle fonti della Rivelazione. Ma soprattutto, ciò che ha fatto andare in bestia il capo dei vescovi tedeschi, impegnato da anni in una battaglia contro Benedetto XVI, è stata la denuncia della dittatura del relativismo: «Il paradosso di questa dittatura è che relativizza la verità ma rende assoluto il proprio relativismo. In questo modo mostra il suo vero volto, che fondamentalmente non consiste nella negazione, ma nella soggettivizzazione e pluralizzazione della verità, nel senso che ognuno ha la sua “verità”. Fondamentalmente, però, non esiste più la verità, ma solo punti di vista e opinioni diverse».

print_icon