POLITICA & GIUSTIZIA

Csm, la destra punta al jackpot. Il Pd gioca il jolly con Cartabia

Un accordo tra maggioranza di governo e Terzo Polo metterebbe fuori gioco dem e M5s. Il partito di Letta, dopo la "rinuncia" di Rossomando, mette sul tavolo il nome dell'ex ministro. Le votazioni a Camere in seduta congiunta il prossimo 12 dicembre

La conferma che il Pd abbia deciso di mettere una pietra sopra all’idea di poter conservare la vicepresidenza del Consiglio Superiore della Magistratura è arrivata con la rielezione di Anna Rossomando ad un’altra vicepresidenza, quella del Senato. La parlamentare torinese, avvocato e figlia di una delle più famose toghe sotto la Mole, ortodossa interprete della linea interna al partito incarnata proprio da un ex guardasigilli come Andrea Orlando, nei progetti del Nazareno era destinata a raccogliere il testimone da David Ermini eletto alla seconda carica di Palazzo dei Marescialli nel 2018.

I piani di Enrico Letta, però, si sciolgono come neve al sole sotto il peso del risultato delle votazioni per comporre la componente togata del plenum: a vincere è Magistratura Indipendente, la corrente più moderata che incassa 7 dei 20 seggi, mentre Area (il correntone che ha inglobato la vecchia Magistratura Democratica) si ferma a 6, mentre 4 vanno a Unicost, centrista con sguardo al centrosinistra, il resto tra liste minori e indipendenti. Il segnale è comunque chiaro. Altrettanto appare la difficoltà, se non la palese impossibilita per i dem di portare Rossomando (o un altro esponente al pari connotato politicamente) al vertice dell’organo di autogoverno della magistratura. Da qui quello che agli occhi di molti è parso un prestigiosissimo ripiego o se vogliamo un invidiato hic manebimus optime della senatrice sul secondo scranno di Palazzo Madama, seppure con gran dispiacimento per l’ex sindaca di Alessandria Rita Rossa che era pronta a subentrarle quale prima non eletta in Piemonte.

Rinuncia su tutta la linea da parte del Pd? No, almeno secondo quel poco che trapela quando la complessa procedura per l’elezione dei 10 membri laici deve di fatto ancora incominciare. Con alcune novità recentemente introdotte, tra cui la presentazione ufficiale delle candidature ai presidenti delle Camere e quindi l’impossibilità di sorprese. La votazione avverà il prossimo 13 dicembre in seduta comune di Camera e Senato:  servono i tre quinti del totale dei deputati e senatori, un quorum che costringe ad accordi tra maggioranza e opposizioni. Al Nazareno così come al vertice dei Cinquestelle è chiara un’eventualità che cercheranno in ogni modo di evitare. La tentazione della maggioranza di centrodestra di non lasciare neppure un posto a Pd e M5s è forte e passerebbe per un accordo con il Terzo Polo (peraltro lasciato a becco asciutto da Letta e Conte nella spartizione delle vicepresidenze di Senato e Camera) attribuendo a eletti indicati da Matteo RenziCarlo Calenda l’onere di rappresentare l’opposizione.

Uno scenario questo che impedirebbe ai togati di orientare i loro voti verso un nome espressione del Pd o del partito di Giuseppe Conte o di entrambi in caso di una non improbabile convergenza. Un quadro che forse non sarebbe apprezzato dal Colle temendo conseguenze da parte di una parte della magistratura già in fibrillazione per la nomina di Carlo Nordio a ministro della Giustizia, peraltro salutato dal leader di Italia Viva come la scelta migliore per via Arenula. Lo stesso Renzi in una recente intervista aveva lanciato segnali piuttosto chiari, sostenendo che “questo è il Csm più squalificato della storia repubblicana, servono personalità di spiccata cultura garantista”.

Tra le possibili vie d’uscita per i dem, al fine di provare a scongiurare un piano che non è affatto azzardato nell’ipotesi e nella sua possibile attuazione, c’è quella di puntare su figure di altissimo profilo e autorevolezza. Da qui le voci ricorrenti sull’ex ministro Marta Cartabia, anche se resta da vedere se l’ex presidente della Corte Costituzionale (e autrice della riforma del Csm) accetterebbe l’eventualità di non essere eletta alla vicepresidenza restando un “semplice” componente. Una garanzia, quella dell’elezione alla vicepresidenza, che il Pd in questo momento non pare essere nelle condizioni di poterle dare. 

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