TRAVAGLI DEMOCRATICI

Pd nel caos, guerra sullo statuto.
La sinistra fa saltare l'assemblea

Il cuperliano Giorgis (insieme a Rossomando) contro la norma che riduce da tre a due gli ammessi alle primarie. Propone di aumentare il numero a quattro o cinque (per rendere i segretari ostaggio delle correnti). Ma sono in minoranza e si appellano al numero legale

Per capire lo stato di salute del Pd che si avvia a un congresso, almeno nelle intenzioni, (ri)costituente basti pensare che l’assemblea regionale convocata per adeguare lo statuto a quello nazionale e dare il via all’iter congressuale è saltata per la mancanza del numero legale. Tanti gli eletti nel parlamentino dem che non si sono collegati o hanno abbandonato in anticipo, a dimostrazione del disinteresse attorno alle liturgie fin troppo bizantine di un partito che non sa cos’è ma discetta di procedure. Bisognava votare la deroga per consentire le primarie anche a livello regionale e la riduzione da tre a due candidati ammessi alle primarie dopo la scrematura degli iscritti alle convenzioni.

Un passo che era già stato compiuto a livello nazionale dalla segreteria di Nicola Zingaretti, ma che ora trova delle resistenze proprio in quella sinistra che a Roma lo aveva votato senza batter ciglio. “Sono cambiati i tempi” dice il parlamentare cuperliano Andrea Giorgis, che va controcorrente e chiede di aumentare a quattro o addirittura cinque il numero degli ammessi ai gazebo così da “parlamentarizzare il Pd”. Usa proprio queste parole nel suo intervento spiegando che questo sistema aumenta il pluralismo, ma soprattutto, aggiungiamo noi, il potere delle componenti. Non sfugge, infatti, che maggiore è il numero dei concorrenti alle primarie più si alza la possibilità che nessuno raggiunga da solo il 50 percento più uno dei delegati e così il segretario deve essere scelto in assemblea, magari attraverso un accordo tra i rappresentanti dei candidati meno votati (il precedente di Paolo Furia insegna). In questo modo il potere passa dagli elettori alle correnti che avrebbero la possibilità di eleggere e deporre un segretario a loro piacimento sfruttando un’assemblea che, come dimostrato oggi, non riesce neanche a raggiungere il numero legale per approvare una norma statutaria.

La posizione di Giorgis è condivisa dalla vicepresidente del Senato Anna Rossomando (area Orlando), ma non dal segretario Furia che invece aveva portato in assemblea l’adesione al sistema nazionale dopo che sul tema si era espressa all’unanimità la commissione statuto. Cavilli procedurali s’intersecano con questioni politiche in un contesto in cui la forma è sostanza. Quando Giorgis afferma che sono cambiati i tempi non dice ciò che sostanzialmente è cambiato rispetto a quando Zingaretti, proprio per ridurre il peso delle correnti, aveva deciso di varare le primarie-ballottaggio tra i due più votati delle convenzioni. Da allora è cambiato che la sinistra sta perdendo la sua egemonia e teme di finire nuovamente nell’angolo come le capitò con Matteo Renzi. Anche a fronte di questa spaccatura nella gauche piemontese, il segretario ha annunciando la sua intenzione di non ricandidarsi.

L’assemblea è andata per le lunghe: la proposta di Giorgis non avrebbe avuto i numeri per passare e così, quando lui e Rossomando hanno preso atto di essere in minoranza, hanno chiesto una verifica del numero legale (intanto il pranzo incombeva e molti si erano scollegati). L’assemblea salta mentre un partito rantolante, stritolato dalle correnti, agonizza tra procedure e liturgie antiche che neanche i suoi iscritti comprendono più.  

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