SANITÀ

Pronto Soccorso anche in clinica, ma la Regione dice no ai privati

Alle strutture accreditate si chiedono, in tutta fretta, posti letto, ma si continua a negare l'emergenza-urgenza. Perla (Aiop): "Pronti e non da oggi a contribuire anche con questi servizi. Incomprensibile l'atteggiamento della Regione". Intanto proliferano le cooperative

Si sentono e, in fondo, un po’ lo sono il 118 della sanità pubblica. Quando c’è una emergenza la richiesta d’aiuto alla sanità privata è ineludibile. Ma proprio l’emergenza per i privati, in Piemonte, resta un tabù nella visione delle amministrazioni di sinistra (per le quali si potrebbe invocare una questione di principio), così come per quelle di centrodestra (e qui è difficile trovare una ragione).

C’è la pandemia Covid, gli ospedali esplodono e si chiede l’intervento del privato che risponde mettendo a disposizione strutture e personale. Ci sono i Pronto Soccorso ingolfati e i reparti di degenza saturi, come accade in questo periodo, e ancora una volta il pubblico chiede (magari non proprio tempestivamente) l’aiuto delle cliniche, che anche in questo caso faranno la loro parte. Ovviamente retribuiti, visto che comunque forniscono un servizio e pagano dei dipendenti, cosa che spesso sfugge in una visione col paraocchi ideologico.

Però alla richiesta di poter aprire proprio quei Pronto Soccorso che a Torino come nel resto della regione sono allo stremo, la Regione continua a dire di no. E pensare che al di là del Ticino, in Lombardia dove come in Piemonte governa il centrodestra, al privato accreditato si impone addirittura di fornire il servizio di emergenza e urgenza come condizione per operare in convenzione.

“Se come giustamente ha ricordato ancora ieri il commissario dell’Azienda Zero Carlo Picco, pubblico e privato in Piemonte compongono un sistema sanitario unico e integrato, non comprendiamo la ragione per impedire che le strutture private che abbiano i requisiti non possano fornire anche il servizio di Pronto Soccorso”, osserva Giancarlo Perla, presidente regionale dell’Aiop la principale associazione di rappresentanza della sanità privata. “Noi siamo pronti e non da oggi ad aprirli”, diceva Perla allo Spiffero già nella primavera scorsa quando la situazione era già critica, ma già allora ricordava come la questione in Piemonte si trascinasse fin dall’epoca in cui a guidare la Regione c’era il forzista Enzo Ghigo.

Oggi con un quadro che va facendosi sempre più pesante questa “anomalia” appare ancor meno comprensibile, tanto più che guardando alla Lombardia si scopre che lì la presenza del Pronto Soccorso nelle strutture private viene posta come condizione. E di Dea nelle cliniche ce ne sono un po’ in tutte le regioni. In Campania ce ne sono cinque, tre nel Veneto, quattro in Puglia, per fare qualche esempio. In Piemonte l’unico caso è quello del Gradenigo che il Dea lo aveva e lo ha conservato passando in mani private, ma è un’eccezione. Non lo è più, invece, il ricorso alle cooperative per coprore i turni di quasi tutti i Pronto Soccorso del Piemonte. Dunque, mentre le cliniche continuano a vedersi sbarrare le porte per l'emergenza e urgenza, altro soggetti altrettanti privati (ma non accreditati) sono ormai entrati pesantemente nelle strutture pubbliche e con costi assai elevati, neppure troppo contrattabili.

“Se, come avvenuto per il Covid e oggi per il sovraffollamento, ci si accorge della necessità di rivolgersi al privato, che come sempre risponde, non si vede perché affrontare una questione come quella dei Pronto Soccorso in maniera strutturale”, ragiona il presidente di Aiop. “Non si può essere utili a fasi alterne, o lo si è sempre non lo si è mai”, attacca Perla. “Se si riconosce il ruolo paritario si deve avere il coraggio – conclude –  di dire che anche la sanità privata deve concorrere a garantire l’emergenza urgenza, ovviamente in un sistema integrato e coordinato”.

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