SANITÀ

Sanità, mobilità passiva.
Un rosso da 329 milioni
 

Negli ultimi dieci anni il saldo tra cure pagate ad altre regioni e soldi incassati per quelle fornite a non residenti è negativo. Il Piemonte maglia nera insieme al Sud. I dati della Corte dei Conti. Limite ai privati ad attrarre più pazienti oltre i confini

Oltre 14 miliardi di euro sono passati, negli ultimi dieci anni, dalle casse delle regioni del Sud a quelle del Nord per pagare cure e altre prestazioni ai loro residenti costretti a risalire il Paese per trovare risposte dalla sanità impossibili o, comunque, difficili da trovare in molte zone del meridione. 

Una cifra enorme che, tuttavia, continua a non essere distribuita uniformemente, tant’è che se la mobilità attiva, ovvero le prestazioni fornite a residenti in altre regioni, porta quasi tutto il Nord a segnare positivamente il bilancio di questa voce importante, ci sono Regioni in netta controtendenza. Tra queste spicca proprio il Piemonte dove il saldo tra mobilità attiva e quella passiva porta il segno meno di fronte alla cifra di 329 milioni. 

Poco consola il fatto che a pagare cure ad altre regioni più di quanto dalle stesse incassi, insieme al Piemonte ci siano anche la Liguria con 488 milioni e la Valle d’Aosta con 75 milioni di saldo negativo. Il resto del Nord è tutto un incassare assai più di quanto di spenda: dal 2012 al 2021 la Lombardia, da sempre in testa per la sua attrattività nelle strutture sanitarie, in parte considerevole private, ha segnato un saldo di 6,176 miliardi, seguita dall’Emilia-Romagna con 3,347 miliardi, poi la Toscana che chiude con 1,336 miliardi, quindi il Veneto (1,138), staccato ma sempre con cifra positiva il Friuli-Venezia Giulia con 148 milioni e la Provincia di Bolzano con 45 milioni.

Una situazione quella che vede il Piemonte, nei dati contenuti nel rapporto della Corte dei Conti, registrare i più alti picchi negativi nel periodo che va dal 2017 al 2019, tenendo poi conto che i due anni successivi sono falsati dalla pandemia e dall’emergenza Covid. L’essere tra le regioni a saldo negativo, al fondo della classifica aperta dalla Campania con 2,939 miliardi, seguita dalla Calabria con 2,707 e dal Lazio con un saldo negativo di 2,195, pone per l’ennesima volta la sanità piemontese di fronte a uno scenario complicato. Se la magistratura contabile osserva come dai dati sulla mobilità emerga “la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud”, questo evidentemente non vale per una della più grandi e importanti regioni del Nord. E, ancora, sempre la Corte dei Conti annota tra le principali ragioni della mobilità la qualità e quantità dei servizi sanitari erogati.

In questo ambito, sfugge il motivo per cui il Piemonte continui a porre un limite alle prestazioni fornite dalle strutture private accreditate a residenti in altre regioni, nonostante le ripetute richieste arrivate dalle rappresentanze di categoria delle cliniche, nonostante il fatto che si tratterebbe di incassare e non di spendere un bel po’ di milioni. “Siamo assolutamente d’accordo sul fatto che la precedenza deve essere per i piemontesi ma non si comprende perché porre un limite all’arrivo da fuori regione di pazienti le cui cure ovviamente vengono rimborsate al Piemonte. Mettendo una soglia si frena molto se non si impedisce del tutto un aumento della mobilità attiva, che il Piemonte da anni cerca di ottenere”. Questo diceva il Giancarlo Perla, presidente di Aiop, l’associazione della sanità privata non religiosa, già nei primi mesi dell’anno quando la questione della mobilità passiva era tornata ad affacciarsi. 

“Di fronte a un pesante segno negativo e mentre si fa fatica a diminuire la migrazione, specie sul fronte orientale della regione, verso la Lombardia c’è invece – torna oggi a ribadire Perla – bisogno di attrarre pazienti, riducendo il saldo negativo”. Un piccolo spiraglio si è aperto con un accordo con la Lombardia per quanto riguarda gli interventi di alta specializzazione, ma il nodo complessivo resta. Certo una maggiore apertura all’accesso alle strutture private non risolverebbe del tutto il problema, ma è difficile immaginare che un cambio di passo fino ad ora negato da corso Regina il Piemonte continuerebbe a condividere il primato negativo e oneroso con le regioni del Sud. 

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