ECONOMIA DOMESTICA

Stop a diesel e benzina dal 2035,
"un vero suicidio green e sociale"

Dopo la ratifica del parlamento europeo delle normative sulle auto sale la preoccupazione. Per il ministro Urso "i tempi imposti sono fuori dalla realtà". Cellino (Api) e Marsiaj (Unione Industriale): si passa dalla dipendenza dalla Russia a quella dalla Cina

Dopo lo stop della Ue alle auto a benzina e diesel dal 2035, il mondo dell’impresa e della politica è in allarme. “L’Italia è in ritardo sulla transizione nel settore auto e dobbiamo accelerare sugli investimenti, ma i tempi e i modi che l’Europa ci impone non coincidono con la realtà europea e soprattutto italiana”, spiega dai microfoni di Radio Anch’io il ministro delle Attività economiche e del Made in Italy Adolfo Urso. “Non possiamo affrontare la realtà con una visione ideologica e faziosa che sembra emergere dalle istituzioni europee”. E si chiede perché l’Europa non adotti “la neutralità tecnologica” e una tempistica che risponda più alla realtà e sia graduale, consentendo anche altre fonti come biocombustibili, biometano e idrogeno. Inoltre, “questa visione ideologica mi sembra la stessa di qualche anno fa, quando si guardava alla Russia come unica fonte energetica per l’Europa. Rischiamo ora di passare dalla dipendenza energetica dalla Russia alla dipendenza tecnologica dalla Cina sulla filiera dell’elettrico”.

Toni di preoccupazione condivisi anche dai principali rappresentanti del sistema imprenditoriale. Il provvedimento ratificato ieri a Bruxelles “è un suicidio”, afferma il presidente dell’Api Torino, Fabrizio Cellino. “Se si ragionasse in termini di filiere complessive – osserva il numero uno della piccola e media impresa – ci sarebbe un’impossibilità tecnologica, ma avrebbe un senso. Invece farlo solo in Europa con batterie prodotte principalmente dalla Cina e con fonti energetiche ad alto inquinamento pare un assurdo. Spostiamo il problema dell’inquinamento togliendolo a noi e aumentandolo nel resto del mondo e ci suicidiamo internamente in termine di occupazione e di industria che abbiamo creato negli ultimi 50 anni. È un’assurdità totale sotto tutti i punti di vista, sia sul lato green sia dal punto di vista sociale. Non posso e non voglio credere che da qui al 2035 non verranno fatte modifiche e non verranno trovate soluzioni di mediazione alternative perché non capisco se di fondo c'’è grande ignoranza da parte di qualcuno o interessi nascosti che non si riescono a percepire del tutto”. Sono a rischio, infatti, oltre 2.200 aziende del comparto e 195.000 posti di lavoro.

Interventi auspicati anche dal dirimpettaio di via Fanti: “Speriamo che si possa recuperare una soluzione di equilibrio. Le cose vanno fatte subito senza aspettare – afferma Giorgio Marsiaj, presidente dell'Unione Industriale di Torino –. Gli spazi ci sono, si basta volerlo non ha senso oggi imporre una soluzione tecnica che ci mette nelle mani dei fornitori cinesi. Bisogna trovare una soluzione europea, che non ci metta nelle condizioni di dipendenza in cui ci siamo trovati con il gas dalla Russia”, ha osservato ancora.

Mossa ideologica, quella del Pe, anche per Matteo Salvini, che parla di “una decisione folle e sconcertante” per il governo italiano. Dal suo account di Instagram il vicepremier attacca Bruxelles chiedendosi se è stata mossa dettata da “ideologia, ignoranza o malafede?” che va “contro le industrie e i lavoratori italiani ed europei, a tutto vantaggio degli interessi cinesi”. Gli fa eco l’altro vicepremier, il ministro degli Esteri Antonio Tajani: “Io sono un grande sostenitore dell’auto elettrica, ma gli obiettivi ambiziosi vanno raggiunti sul serio, non solo sulla carta: ecco perché l’Italia avanzerà una sua controproposta: limitare la riduzione al 90%, dando la possibilità alle industrie di adeguarsi”. L’ex presidente del parlamento europeo definisce “un errore grave” la decisione e chiarisce: “La lotta al cambiamento climatico va fatta, ma richiede obiettivi raggiungibili”.

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