INTERVISTA

Torino (e il Piemonte) a un bivio, sfida da prendere con tecnosofia

Il connubio tra tecnologia e umanesimo non solo è "indispensabile" ma è anche l'unica soluzione per coniugare produzione e bisogni sociali. La vocazione manifatturiera deve reinventarsi in chiave "coopetitiva". Il manifesto di Saracco (con Ferraris)

“Oggi, più che mai, occorre restituire ai tecnologi la capacità di analizzare criticamente i problemi dell’uomo, della società. E, dall’altra parte, gli umanisti non possono più fare a meno delle conoscenze tecnologiche e delle conseguenze che esse possono apportare nel volgere di pochissimo tempo”. Chiamalo, se vuoi, tecnosofia. Così due studiosi su fronti accademici opposti hanno intitolato il libro (Tecnosofia. Tecnologia e umanesimo per una scienza nuova, Laterza 2023) dedicato proprio all’incrocio tra due saperi che per secoli hanno corso paralleli, ai benefici che può apportare sulle crescenti diseguaglianze sociali. Guido Saracco, ingegnere, attuale rettore del Politecnico, socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino, una vita ad occuparsi di chimica, nanotecnologie, energie rinnovabili, tutela dell’ambiente, biotecnologie e fotocatalisi. Maurizio Ferraris insegna Filosofia teoretica all’Università di Torino, è presidente del Labont (Center for Ontology) e dirige Scienza Nuova, l’istituto di studi avanzati che unisce l’Università e il Politecnico di Torino nella progettazione di un futuro sostenibile. Visiting professor a Harvard, Oxford, Monaco, Parigi, editorialista del Corriere della Sera e della Neue Zürcher Zeitung.

Un incrocio inedito e forse anche imprevedibile quello tra due scienziati di matrice e formazione così diversa. È così professor Saracco?
“Anche solo cinque anni fa non avrei immaginato di scrivere un libro così. Ma è il segno del cambiamento che dobbiamo essere preparati ad affrontare”.

Cosa significa e perché è necessario mettere insieme tecnologia e umanesimo?
“Questo indispensabile connubio porta a nuove soluzioni. Sullo sfondo del libro ci sono idee e soluzioni per ridurre le diseguaglianze sociali, ormai inaccettabili. E noi a Torino siamo già avanti, con l’Unione Industriale abbiamo appena lanciato un master business & technology, considerato che non si può piu fare i manager e basta. Iniziative come Theseus che ci ha portato ad assumere professori di filosofia, sociologia, diritto per guidare le tecnologie, dall’altra parte Scienza Nuova con Ferraris che fa un lavoro speculare in Università”.

L’intelligenza artificiale che ormai sta facendo passi velocissimi, tanto rapidi da destare preoccupazione, è una ragione in più per non lasciare la tecnologia senza quelle che un tempo si definivano scienze umane?
“Sicuramente è una delle componenti che hanno accelerato la pervasività del digitale nella vita di ogni giorno. È necessario porre, più che dei limiti, delle linee di indirizzo che arrivino anche a delle certificazioni sui prodotti dell’intelligenza artificiale in ragione delle linee etiche, a partire dalla privacy, ma anche evitare che aumentino le disuguaglianze. Bisogna guidare le tecnologie e le loro dinamiche sempre più rapide. Finalmente è arrivato un corpus normativo europeo, l’AI Act. Ecco, credo che guardando al futuro Centro di intelligenza artificiale di Torino, sarebbe opportuno insediare lì una componente, molto legata al diritto, dedicata alla certificazione dei prodotti dell’intelligenza artificiale”. 

Torino è sempre stata la città del fare. Produrre più che speculare. E ancora così oppure c’è un’altra Torino e un altro Piemonte a sua volta declinato in vari Piemonti?
“Produrre in modo sempre più preciso con una rete interdisciplinare fortissima ci mette in pole position nel momento in cui le catene di produzione si accorciano e creano ecosistemi quasi a chilometro zero. Se ci limitassimo alla progettazione avremmo degli straordinari competitor: un ingegnere marocchino costa la metà di uno italiano… Non bisogna accontentarsi, bisogna essere completi e magari aprire proprio col Nord Africa delle alleanze possibili per le distanze ragionevoli. Serve flessibilità e creatività. Mantenere la vocazione manifatturiera non è solo una condizione di prosperità, ma anche questione di security nazionale”.

Le province oltre Torino sono più o meno distanti nello sviluppo dal capoluogo?
“Le province rispetto a Torino hanno già fatto il cambio di passo, evolvendo verso sistemi produttivi solidi. Se Torino deve reinventarsi in una nuova chiave meno focalizzata su un singolo capofiliera di riferimento e più pronta a rispondere a diversi tipi di attrazione, questa massa critica può riverberarsi sul resto della regione che oggi per molti versi nei loro distretti vocazionali sono più avanti del capoluogo. Hanno dovuto sbrogliarsela prima. Torino è in ritardo ma credo prossima a trovare una quadra per quella che definisco coopetizione, ovvero una sinergia tra soggetti che prima si guardavano in cagnesco, parlo delle università, delle banche, delle fondazioni, delle associazioni datoriali, e oggi invece devono lavorare insieme”.

L’atavico rapporto di concorrenza, talvolta di presunta inferiorità, con Milano, anche questo è mutato o è comunque destinato a cambiare?
“Torino oggi ha un vantaggio competitivo nell’unità di intenti delle università. A Milano ci sono tanti atenei che competono tra di loro. Ma anche sul manifatturiero noi siamo avanti. Certo Milano ha una mentalità, più vicina al rischio e alla creatività, che noi dovremmo acquisire. Ma questo già si vede proprio nell’ambito universitario e colgo segni un po’ più positivi nelle associazioni imprenditoriali, così come le fondazioni hanno smesso di mettere solo dei tacun, delle toppe, ma a fare effetto leva sull’economia. 

Il Politecnico di cui lei è il rettore, da sempre è fucina di gran parte della classe dirigente. Quella attuale è all’altezza delle sfide che ormai si susseguono sempre più rapidamente?
“Sinceramente, vedo in tanti quarantenni e cinquantenni la volontà di cambiare e mettersi in rete in diverse istituzioni. È impensabile non cogliere un’onda positiva, di guardare e costruire il cambiamento”.

Lei è decisamente ottimista.
“Non si può non esserlo, specialmente guardando ai nostri laureati che sono sempre più svigiu, sì svegli e caparbi a cogliere opportunità, ma anche a mettere avanti a tutto una questione etica, decidendo di lavorare per aziende con impronta sociale e ambientale positiva. E poi sta crescendo la consapevolezza che la parità di genere non sia semplicemente una questione etica, ma fondamentale per l’economia”. 

E la politica, professore, è al passo?
“Con la politica abbiamo fatto la cittadella dell’aerospazio e altre importanti iniziative, ma anche delle scuole di tecnologia per la politica con alcuni partiti e credo sia un fatto importante. La politica e le sue scelte sono fondamentali e penso che, al pari dell’università, che a Torino è cambiata molto e dell’industria che sta mutando, anche la politica deve cambiare profondamente”.

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