POLTRONE & POLITICA

Signorini si nasce, ad si diventa. Dal porto di Genova a Iren

Bucci lo voleva e l'ha ottenuto. Più che un manager un boiardo che finora si è occupato di energia solo al momento di pagare le bollette di casa. Il passato alla corte di Incalza al ministero. Diciotto mesi sono sufficienti per mandare gambe all'aria un'azienda

Era la sua prima (e forse unica) scelta, sua è stata l’ultima parola. Marco Bucci il successore di Gianni Armani alla guida di Iren l’aveva già individuato ben prima che il manager romano lasciasse la multiutility per raggiungere l’amico Flavio Cattaneo in Enel. Il sindaco di Genova, cui spetta, secondo il patto che regola la governance, l’indicazione dell’amministratore delegato, accertata la fondatezza delle voci che davano Armani insoddisfatto e alla ricerca di nuove collocazioni professionali (si era parlato di Terna) già nel febbraio dello scorso anno aveva individuato il possibile sostituto in Paolo Emilio Signorini. E così è stato.

La decisione che, in nome della realpolitik, non ha trovato forti resistenze negli altri componenti del patto di sindacato (Stefano Lo Russo di Torino e Luca Vecchi di Reggio Emilia), in verità suscita forti perplessità tra gli operatori del settore e grande preoccupazione nella prima fila di Iren. Non ci vorrà molto tempo per capire come il mercato saluterà l’arrivo di Signorini, un boiardo di stato più che un manager d’azienda, alla testa di un gruppo chiamato a sfide cruciali: un piano industriale all’abbrivio, conti su cui pesa il forte indebitamento, una concorrenza aggressiva in un comparto che facilmente sarà interessato da processi di aggregazione. È lui l’uomo giusto al posto giusto? Bucci ne è convinto, altri molto meno.

Del resto, la stessa biografia professionale di Signorini non contribuisce a fugare i dubbi. Nato a Genova nel 1963, sposato, due figlie, il nuovo ad ha studiato all’università di Firenze e alla Yale University degli Stati Uniti: formazione giuridica. Si è fatto le ossa nell’ufficio studi della Cassa di Risparmio di Firenze e nel 1992 è approdato in Banca d’Italia, dove per 6 anni si è occupato di privatizzazioni del sistema bancario e tutela della concorrenza. Nel luglio 1998, primo governo Prodi, plana al ministero del Tesoro come componente del nucleo di valutazione degli investimenti pubblici, e via via riveste numerosi e prestigiosi incarichi: capo dell’ufficio per gli affari regionali, capo delle politiche di sviluppo territoriale all’Economia, capo della direzione generale del Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, fulcro delle erogazioni dei finanziamenti statali alle grandi opere. Nel 2013 diventa capo dipartimento al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dove stringe un proficuo sodalizio con Ercole Incalza, uomo forte a Porta Pia, per quattordici anni super dirigente dei Lavori pubblici, con 7 governi diversi e 5 ministri di ogni schieramento. Anzi, prima che l’indagine della Procura di Firenze sulle grandi opere portasse alle dimissioni di Maurizio Lupi e all’arresto di Incalza (inchiesta finita in nulla e con assoluzioni e proscioglimenti), sarebbe toccato proprio a Signorini prendere in eredità la guida della Struttura di missione se il ministro successivo, Graziano Delrio non l’avesse soppressa. Con l’esponente Pd non si piglia ed è allora che Giovanni Toti, nel frattempo diventato governatore della Liguria, lo chiama per il ruolo di segretario generale della Regione, incarico che ricopre fino a novembre 2016. Da lì in poi la carriera prende il largo. Nel 2016 attracca all’Autorità portuale di Genova e da lì non si è più mosso, nonostante sul fronte del porto non siano mancate in questi anni lamentele sul suo operato.

Fama di civil servant impeccabile e mai indagato (finito sui giornali per una vacanza in Toscana con moglie pagata dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Mazzacurati, patron del Mose), Signorini siederà alla testa di Iren per i prossimi 18 mesi, fino cioè al rinnovo complessivo degli organi e, almeno sulla carta, con “nessuna garanzia di riconferma”. Contestualmente vengono rimpolpate le deleghe del presidente Luca Dal Fabbro (al Presidente nell'area della finanza e delle relazioni con gli investitori oltre al permitting e alle relazioni con le Autorità di regolazione) e del vice Moris Ferretti (personale), mossa che serve almeno temporaneamente a tacitare malumori di Torino e Reggio Emilia. Riprova che la “carta Signorini” abbia poco a che fare con strategie industriali e molto invece con spartizioni politiche e territoriali.

E così mentre in Iren cala il sipario sulla lunga stagione di Massimiliano Bianco (l’ad artefice del grande balzo) e della breve primavera di Gianni Armani (che ha impresso una svolta di efficienza) la nomina di Signorini apre un’altra partita, anche questa dai marcati connotati politici: la successione a Palazzo San Giorgio. La Lega, con Edoardo Rixi, viceministro e plenipotenziario di Matteo Salvini in Liguria, ha già messo le mani avanti: arriverà un commissario o forse due (con uno ad hoc per la Diga). La legge Delrio del 2015 consente di procedere celermente con la nomina del presidente, contrariamente alla precedente norma che affidava la scelta a una terna di nomi degli enti locali all’interno della quale il ministero sceglieva un nome da nominare solo con l’intesa della Regione. Ora il ministero sceglie, d’intesa con la Regione. Comunque vada, una partita tutta interna al centrodestra.