SANITÀ

Pochi medici, tanti impiegati. "Troppa burocrazia nelle Asl"

Dal 2020 al 2021, in piena emergenza Covid, si sono licenziati oltre 600 camici bianchi. Aumentano avvocati e ingegneri. Quici (Cimo): "Invece che investire sui sanitari si preferisce assumere altre figure". In Piemonte record di donne nei ruoli amministrativi

Che di grane e garbugli la sanità sia piena è noto, così come si sa che insieme a edifici spesso datati e da rattoppare una delle questioni irrisolti riguardi i conti, che quasi mai tornano. Ma basta questo a giustificare un dato che fa saltare sulla sedia perché racconta come a fronte in un pesante calo del numero di medici dal 2020 al 2021 nello stesso periodo il sistema sanitario ha visto aumentare negli organici delle Asl e delle Aso gli avvocati, gli ingegneri, e molte altre figure del comparto amministrativo. 

Se nel 2020, l’anno in cui esplose la pandemia trovando praticamente ovunque un sistema non preparato, nel servizio sanitario italiano lavoravano 776 medici in più rispetto al 2019 (con un incremento dello 0,76%), appena un anno dopo e ancora alle prese col Covid nel 2021 ne risultavano 601 in meno (-0,58%), per cui tra il 2019 e il 2021 l’aumento di camici bianchi registrato nella sanità pubblica è stato pari a un misero +0,17%, che corrisponde a 175 professionisti su un totale di 102.491. Assai poco o per nulla consola scoprire dai dati del report del ministero della Salute sul personale delle Asl che, invece, tra 2019 e 2021, gli avvocati al servizio della sanità sono cresciuti del 15,3%, del 9,5 gli ingegneri, del 7,1 i direttori amministrativi e via con altre figure non propriamente sanitarie.

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Questione annosa quella del diffuso squilibrio tra personale sanitario e amministrativo che anche in Piemonte è stata spesso dibattuta, senza che peraltro alcun governo regionale di qualsiasi colore l’abbia mai affrontata con determinazione. Poi è arrivato il Covid e anche quel settore ha mostrato carenze, tanto da accrescere ulteriormente gli organici. Ma se questi sono rimasti, sono i medici ad aver lasciato il pubblico per il privato, dove invece il rapporto percentuale con gli amministrativi è assai diverso.

“È come se in Italia il Covid non fosse mai esistito. Complici il tetto di spesa sul personale sanitario che impedisce di assumere, la fuga dei medici dalle condizioni di lavoro esasperanti che si riscontrano negli ospedali e la scelta politica di prediligere i gettonisti ai dipendenti, ci troviamo dinanzi a uno scenario preoccupante, che spiega le ragioni per cui in tutto il Paese i cittadini accedono ai servizi con estrema difficoltà”, l’amara considerazione di Guido Quici, presidente del sindacato medico Cimo-Fesmed. “È bastato solo un anno per annullare l’effetto delle assunzioni straordinarie di medici fatte in piena emergenza Covid”, aggiunge.

Dal sindacato si evidenzia come “invece di investire sui sanitari si preferisce assumere altre figure professionali, sintomo di un sistema sempre più burocratizzato e amministrato che vicino ai bisogni di salute dei pazienti, per i quali l'offerta sanitaria risulta sempre più ridotta. Basti guardare all'aumento dei direttori amministrativi, in evidente contrasto con il taglio del 33% delle unità operative complesse e del 48% delle unità operative semplici che si è verificato negli ultimi dieci anni”. E le previsioni non confortano affatto: “In assenza di una rivisitazione delle priorità e di un investimento strutturale sul servizio sanitario nazionale a partire dalla prossima legge di Bilancio, questi dati sono destinati a peggiorare drasticamente nei prossimi anni”.

Numeri che devono fare riflettere quelli del 2021, considerando che la fuga dei medici non si è certo fermata, ma anzi aumentata nell’anno successivo e in quello attuale. Al report ministeriale emerge che nel secondo anno della pandemia il 69,1% del personale è composto da donne, contro il 30,9% degli uomini, mentre il 72,5% dell’organico appartiene al ruolo sanitario, il 17,7% al ruolo tecnico (analisti, statistici, sociologi, assistenti sociali), il 9,6% al ruolo amministrativo e lo 0,2% a quello professionale (avvocati, ingegneri, architetti). All’interno del ruolo sanitario, il 59,2% è rappresentato da infermieri, il 22,9% da medici e odontoiatri e il 17,9% da altre figure professionali sanitarie tra cui dirigenti professioni sanitarie, personale tecnico-sanitario, personale con funzioni riabilitative, vigilanza e ispezione.

Per quanto riguarda il Piemonte, dai dati emerge un maggior numero di donne nel ruolo sanitario arrivando al 75,1% e, in particolare il 53,2% per quanto riguarda i medici e l’84,2% nell’ambito degli infermieri. Preponderanza femminile anche nel comparto amministrativo dove si raggiunge l’82,6%, record tra le Regioni, superato solo dalle due Province autonome di Trento e Bolzano e decisamente sopra la media nazionale del 72,4%.

Al di là delle statistiche e del loro valore, resta quella carenza di medici che, come emerge dal report, è incominciata quando ancora l’emergenza era tutt’altro che conclusa, vanificando quasi del tutto quella boccata d’ossigeno data dalle nuove assunzioni nel giro di un anno. E se la fuga verso il privato, riguarda solo medici e in parte anche infermieri, ma non il comparto amministrativo che, al contrario, è aumentato qualche domanda è più che lecita.

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