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Voto a marzo, Pd: "Un'imboscata"

L'ipotesi ventilata da Meloni e Cirio sarebbe dettata "solo da interessi personali", attacca il segretario dem Rossi. Inoltre la chiusura anticipata della legislatura lascerebbe per tre mesi senza stipendio i consiglieri uscenti (e molti non più rientranti)

Elezioni regionali anticipate a marzo? Per il Pd l’idea di Alberto Cirio e di Giorgia Meloni è “un’imboscata”, “un precedente pericoloso che nasconde esclusivamente interessi personali”. L’ipotesi rimbalza da un paio di giorni tra Torino e Roma, per il governatore sarebbe un modo per cogliere di sorpresa gli avversari e ridurre il loro tempo per la campagna elettorale, la premier riuscirebbe ad accorpare tutte le regionali, sfruttando i probabili successi in Piemonte e Abruzzo per annacquare le possibili sconfitte in Sardegna e Basilicata dove il campo largo (lì le trattative tra M5s e Pd sono piuttosto avanti) potrebbe prevalere.

Il piano di un election day regionale è emerso al tavolo nazionale del centrodestra di lunedì scorso e proposto da Francesco Lollobrigida e Giovanni Donzelli, colonnelli della premier in Fratelli d'Italia. Maurizio Gasparri ha sondato gli umori in Forza Italia, la Lega si è detta disponibile. La questione, assieme ai nodi irrisolti sui nomi di alcuni candidati, sarà sul menù del prossimo tavolo, che verrà apparecchiato entro la fine del mese. Oltre la volontà politica vanno infatti affrontate le modalità normative per consentire ad alcune Regioni (come la Sardegna) di procrastinare la scadenza, seppur di poche settimane, ad altre (come il Piemonte) di anticipare la conclusione della legislatura.

Una cosa è certa, l’anticipo del voto preoccupa non poco il centrosinistra. Per il segretario del Pd piemontese Mimmo Rossi il tentativo di chiudere anzitempo la legislatura, iniziata ufficialmente il 10 giugno 2019 con la proclamazione dei 51 consiglieri regionali eletti, compreso il presidente Cirio, rappresenterebbe l’ennesimo “magheggio” di un governatore che “vede il consenso suo e dei partiti che lo sostengono a rischio erosione dopo il disastro sulla sanità, il pasticcio sul blocco degli Euro5 e la finanziaria lacrime e sangue che farà il governo”. Insomma, per i dem non ci sono i margini: “l’unica strada che potrebbe imboccare Cirio è quella delle dimissioni, ma dovrebbe spiegarlo ai piemontesi”. Da un punto di vista prettamente tattico il centrosinistra è certamente più indietro dei suoi avversari: manca un candidato presidente e pure una coalizione. “La verità è che avrebbero bisogno di sei mesi in più” se la ridono a Palazzo Lascaris, dove però pure qualche consigliere di maggioranza borbotta alla prospettiva di rinunciare a tre mesi di stipendio. Malcontati si tratta di 20mila euro per ogni consigliere e il malcontento serpeggia in particolare tra i banchi della Lega dove non sono pochi gli eletti che difficilmente torneranno su quegli scranni. Ci penserà Riccardo Molinari, che pure si sarebbe espresso favorevolmente sull'anticipo del voto, a sedare i malumori?

“Non abbiamo paura del voto, e d’altronde non siamo noi che stiamo cambiando le carte in tavola” attacca Rossi mostrando i muscoli: “Se si voterà a marzo ci faremo trovare pronti”. Per qualcuno sarebbe il modo di “blindare” Daniele Valle che al momento resta l’unico candidato di un centrosinistra che, vedendo ulteriormente ridursi i tempi delle trattative difficilmente riuscirebbe a mettere in campo delle alternative. C’è infine una questione che riguarda i costi: il mancato accorpamento delle due tornate elettorali “farebbe ricadere le spese delle regionali sulla Regione, mentre con l’election day sarebbe tutto a carico del Governo”. Argomento buono a ogni uso, di facile presa sull'elettorato. “Un consiglio a Cirio? Risparmi quei soldi per la sanità, pensi ai piemontesi”.