GIUSTIZIA

Indagato per mafia, senza prove.
Gli interrogativi del caso Muttoni

Dieci anni nelle maglie della procura per scoprire che le ragioni dell'archiviazione dell'agosto scorso sono le stesse dell'informativa del 2015, quella che scagionava l'imprenditore. Tirati in ballo l'allora senatore Esposito, il magistrato Padalino e Arciere

Si può essere indagati per 10 anni con l’ignominiosa accusa di collusione con la mafia senza uno straccio di prove? L’interrogativo, a dir poco inquietante, si pone leggendo le carte che riguardano la vicenda di Giulio Muttoni, patron della Set Up, la società organizzatrice di grandi eventi che nel 2015 viene colpita da una interdittiva antimafia. La misura è stata comminata perché nel 2011 uno dei soci, Lorenzo La Rosa, ha fornito alcuni biglietti omaggio per dei concerti a una persona sospettata di essere organica alla ‘ndrangheta. Per gli inquirenti si tratta di un’estorsione, peraltro non denunciata dalla presunta vittima. Muttoni, una volta appreso che, a differenza di quanto credeva, i ticket gratuiti erano finiti non a capi ultras della Juventus ma a un soggetto sotto accusa per reati di stampo mafioso, si costituisce parte civile nel processo scaturito dall’indagine San Michele, una delle più importanti operazioni della Dda (Direzione distrettuale antimafia) piemontese al cui centro c’erano i tentativi di infiltrazione di personaggi legati alla ’ndrina di San Mauro Marchesato, in Calabria, in appalti per opere pubbliche. Per la cronaca, Luigino Greco, il presunto estortore non denunciato viene assolto sia in primo e sia in secondo grado dal Tribunale di Torino. A farla breve: non vi fu alcuna estorsione ai danni della Set Up.

Ma torniamo a Muttoni, l’imprenditore diventato un “caso” del sistema giudiziario per essere stato intercettato 24mila volte. Nel 2014 la Set Up, in cordata (Ati) con altre aziende, si aggiudica la gara per la ristrutturazione del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, noto al mondo per l’esposizione permanente dei famosi Bronzi di Riace. La procura di Torino, al fine di accertare eventuali infiltrazioni criminali, apre un fascicolo contro ignoti per associazione a delinquere di tipo mafioso (416 bis). Per quasi un anno Muttoni e La Rosa vengono pedinati e intercettati, altrettanto avviene per i loro familiari e alcuni dipendenti della società: tutte le attività, i flussi bancari e i cantieri dei lavori sono oggetto di accessi riservati e scrupolose verifiche. Il risultato di quest’ingente azione investigativa è riassunta nell’informativa del nucleo investigativo dei Carabinieri, datata 3 settembre 2015, con un esito che non lascia dubbi: “Muttoni e La Rosa non hanno collegamenti con la criminalità organizzata”.

Nel frattempo, il pm Gianfranco Colace, avendo accertato che comunque Muttoni intratteneva rapporti, questa volta non con mafiosi, bensì con magistrati, appartenenti alle Forze dell’Ordine e politici – tra cui il pm Andrea Padalino e il senatore del Pd Stefano Esposito – apre. sempre nel 2015, un nuovo filone d’indagine ipotizzando un ventaglio di reati: turbativa d’asta, traffico di influenze e corruzione. È la cosiddetta “Bigliettopoli”, inchiesta che ha goduto di grande eco mediatica, conclusasi nel 2020 con più di 40 indagati, tra i quali oltre a Esposito l’allora assessore comunale Enzo La Volta (Pd), il viceprefetto Gianfranco Parente, il comandante dei Vigili del fuoco Giovanni Ciccorelli. Com’è noto, il processo che ne è scaturito si trova oggi nelle secche, senza i protagonisti principali: alcuni archiviati, altri assolti nel rito abbreviato, mentre per quanto riguarda gli imputati “eccellenti” il Tribunale di Torino su disposizione della Cassazione ha inviato per competenza territoriale tutti gli atti al Tribunale di Roma. Inoltre, il procuratore generale della Suprema Corte ha avviato nei confronti di Colace (e del gip Lucia Minutella) un procedimento disciplinare per aver utilizzato indebitamente intercettazioni telefoniche in cui compare il senatore Esposito senza averne chiesto preventivamente l’autorizzazione a Palazzo Madama.

Ma in tutto questo ginepraio giudiziario la mafia dov’è? Spulciando negli atti del processo “Bigliettopoli” le difese dei vari imputati scoprono che nel 2019, precisamente il 17 giugno, un’informativa redatta dal responsabile dell’aliquota dei carabinieri del nucleo di polizia giudiziaria, il tenente colonnello Luigi Isacchini, fa scattare l’iscrizione nel registro degli indagati di Muttoni e La Rosa configurando a loro carico l’associazione di tipo mafioso, nonostante la legge prescriva che possa ritenersi tale se “formata da tre o più persone”. Dall’informativa parte una nuova inchiesta. Ad affiancare Colace è Paolo Toso, uno dei due pm che nel 2014 aveva gestito il fascicolo contro ignoti per 416 bis, di cui abbiamo parlato sopra. L’indagine si protrae per 4 anni e si conclude il 7 agosto 2023 con l’archiviazione da parte del gip. Peraltro, dopo che l’avvocato di Muttoni, Fabrizio Siggia del Foro di Roma, aveva presentato a gennaio la richiesta al Procuratore generale perché avocasse il procedimento, lamentando l’inerzia dei pm. Solo a quel punto è stato possibile acquisire la famosa informativa che ha originato l’indagine per mafia: 30 pagine dal titolo un po’ singolare “Nota inerenti i rapporti tra Giulio Muttoni con il Dr. Padalino Andrea e Riccardo Ravera”. Cosa ci sarà mai in queste poche pagine di così scottante che hanno indotto i pm Colace e Toso a custodire in gran segreto per oltre 4 anni? Vediamo.

I rapporti tra Muttoni e Riccardo Ravera, ex carabiniere dei Ros, conosciuto come Arciere, fedelissimo del Capitano Ultimo con il quale collaborò per arrestare il capo dei Corleonesi Totò Riina, diventato amico di Lorenzo La Rosa, si sintetizzano in tre pagine. Muttoni dopo aver vinto la gara per la ristrutturazione del museo di Reggio Calabria coglie minacce più o meno velate da parte di alcuni loschi figuri locali e ne parla a Ravera. Ravera, che nel frattempo si era congedato e aveva intrapreso l’attività di consulente di security, lo indirizza al luogotenente Cosimo Sframeli, comandante della stazione di Reggio Calabria, militare di grande esperienza e profondo conoscitore della criminalità organizzata, cavaliere e ufficiale della Repubblica, consulente della Commissione Antimafia del parlamento, insomma un militare unanimemente conosciuto e apprezzato, meno da Isacchini che nell’informativa indica “la cui figura meriterebbe ulteriori approfondimenti”. Sframeli consiglia di sporgere immediatamente denuncia cosa che Muttoni, al suo rientro a Torino, fa su consiglio di Ravera dal comandante della stazione di Regio Parco. Posto che chiedere aiuto a un ex carabiniere per sporgere una denuncia non possa profilarsi come una condotta mafiosa, magari sono altri i contatti “pericolosi” rilevati nell’informativa. Tipo quelli con il magistrato Andrea Padalino.

In effetti, in quattro pagine si parla dell’indagine che l’allora pubblico ministero aveva svolto nel 2011 sullo smaltimento dell’ammoniaca presso l’impianto olimpico di bob di Cesana, di alcune telefonate del 2015 con l’allora suo caposcorta Davide Barbato riguardanti l’interdittiva inflitta a Set Up e, guarda caso, di alcuni inviti ai concerti. Insomma, si torna a “Bigliettopoli” e a quella “cricca dei favori” crollata nel processo che ha visto Padalino uscire assolto nei due gradi dalle accuse formulate dai suoi colleghi. Di mafia manco un cenno, un’ombra, un sospetto.

Ancor più sorprendente è però la lettura delle sette pagine, 7, della richiesta di archiviazione firmata dai pm Colace e Toso e controfirmata dalla reggente della procura Enrica Gabetta. Le argomentazioni usate per mandare in soffitta quattro anni di indagini sono tutte relative all’informativa del 2015. Infatti, alle reiterate richieste dell’avvocato di Muttoni di accedere agli atti della seconda indagine (2019-2023) si scopre un’altra cosa incredibile: non ci sono atti di indagine. Possibile che un fascicolo che ha rovinato la vita personale e distrutto il lavoro di un imprenditore sia stato tenuto aperto senza che sia mai stata svolta alcuna attività di indagine? Davvero difficile crederlo, a meno che le ricognizioni effettuate su altri soggetti e in altri filoni non abbiano dato i risultati sperati. Come spiegare altrimenti la presenza dei nomi di Ravera e di Padalino nell’informativa di Isacchini?

Comunque sia, alla fine il risultato di quella che appare una “non indagine” è stato che nel 2021 sono fioccate interdittive antimafia a tutte le aziende e società che hanno lavorato con Set Up (Crew Service e Crew Investigazioni) o che da esse erano partecipate, come Parcolimpico. Quest’ultima viene addirittura commissariata dalla Prefettura di Torino alla vigilia della prima edizione torinese delle Atp Finals, con un’appendice anch’essa singolare. IL commissariamento dura due anni al termine dei quali il prefetto Giorgio Zanzi viene indagato, sempre da Colace, per turbativa d’asta con l’accusa di non aver effettuato nella sua veste di commissario di Parcolimpico la gara per l’affidamento dei servizi di sicurezza relativi alla manifestazione sportiva. Un tema, quello delle società di security, ricorrente nell’attività investigativa della procura e che, forse alla luce di indagini in via di conclusione, potrebbe riservare ulteriori novità.

E le altre tre aziende colpite da interdittiva, qual è stato il loro destino? Sono state costrette a chiudere e a licenziare oltre 200 persone.