GIUSTIZIA

Set up, la mafia non c'era. Inchiesta archiviata, ma anni di gogna per Muttoni (e Esposito)

Il caso del "re dei concerti", sotto indagine dal 2014 per l'ipotesi di 416 bis e la sua società colpita da interdittiva. Reputazione e affari distrutti. Coinvolto l'ex senatore per aver chiesto chiarimenti su un provvedimento che, alla luce dei fatti, non aveva fondamento

La lettera scarlatta, in forma di interdittiva antimafia, viene impressa con inaudita celerità a fuoco da uno Stato che nelle sue articolazioni giudiziarie e prefettizie poi pare scordarsene quando quei già labili sospetti saranno totalmente fugati e, incredibilmente, pur davanti a un’archiviazione dell’indagine madre del provvedimento tace, lasciando che quel marchio continui a produrre i suoi effetti nefasti.

No, non è facile né logico parlare di questo caso riducendolo a un mero errore giudiziario. Il caso è quello dell’imprenditore torinese Giulio Muttoni, patron di Set Up, società organizzatrice di grandi eventi musicali, finito sotto indagine nel 2014 per l’ipotesi di 416 bis contro ignoti e dopo neppure un anno dall’avvio di quell’inchiesta, colpito dal provvedimento della prefettura di Milano che si basa su una presunta estorsione non denunciata (per cui saranno assolti i presunti estorsori) nell’ambito del processo celebrato a Torino per ‘ndrangheta denominato San Michele. Interdittiva che ha l’effetto su di un’impresa (in questo caso più d’una) del diserbante su un prato rigoglioso. Non si lavora più, non si dà più lavoro, milioni di fatturato in fumo. Nel frattempo cresce la notorietà di chi indaga, il pm Gianfranco Colace, anche grazie al coinvolgimento nell’inchiesta di un nome noto della politica, quello dell’ex parlamentare del Pd Stefano Esposito, proliferano in maniera spaventosa le intercettazioni che nel caso di Muttoni arriveranno alla cifra monstre di 24mila in tre anni.

L’accusa muove le prime mosse dalla cessione di alcuni biglietti per gli spettacoli da parte di un socio di Muttoni a persone che si sarebbe poi scoperto appartengono alla ‘ndrangheta. Benevolenza degli ambienti criminali, forse protezione: questa l’ipotesi accusatoria per quei biglietti che, sempre secondo gli inquirenti, si sarebbero tramutati in denaro per le famiglie di ‘ndranghetisti in carcere. Tanto basta al pm per indagare l’imprenditore e far scattare nei confronti delle sue imprese il marchio che tutto ferma, tutto distrugge. 

Non basterà l’impianto accusatorio per sostenere quel pesantissimo capo di imputazione su cui, occorre ribadirlo, nasce e si tiene l’interdittiva, “la mia rovina”, come ripete Muttoni. All’epoca la sua società fatturava oltre 15 milioni all’anno. All’improvviso, la lettera scarlatta ne fa un’appestata da cui tenersi lontano, così come dal suo fondatore. Non basta. Tutte le altre attività dell’imprenditore cadono come birilli sotto quel sigillo che scatta anche senza prove, senza pesanti indizi, ma anche soltanto di fronte al “più probabile che non” rispetto all’ipotesi di infiltrazione mafiosa. Le società cambiano assetti societari, ma ormai il danno è fatto e recuperare anni di lavoro, onore, mercato è praticamente impossibile.

Come si diceva l’accusa di collusione con la criminalità organizzata non regge, filone di inchiesta, il più pesante, archiviato, dopo quattro anni di indagine. Ma chi conosce questa decisione? Chi si premura, come si è premurato di aprire il fascicolo, di avvisare che questo è stato chiuso? Ancora, chi pone la stessa solerzia posta nell’applicare l’interdittiva in base a quelle accuse di revocarla altrettanto rapidamente? La risposta in tutti i casi è: nessuno. Nel frattempo, riavvolgendo il nastro, proprio sulla misura attuata dal prefetto (prima di Milano, poi di Torino), parte un altro filone, quello che fa più clamore perché a essere indagato è Esposito, a lungo intercettato – nonostante fosse all’epoca parlamentare – nei suoi colloqui con l’amico Muttoni. La violazione della legge sull’intercettazione dei membri del Parlamento, per i quali è necessaria l’autorizzazione della Camera di appartenenza, ha già portato al pronunciamento del Senato con il conflitto di attribuzione sollevato dinanzi la Corte Costituzionale. L’ex presidente di Palazzo Madama e già magistrato Pietro Grasso propose all’Aula una segnalazione al ministro della Giustizia, al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione e al Consiglio superiore della magistratura finalizzata ad attivare nei confronti dei magistrati competenti un procedimento disciplinare.

Il processo, otto anni dopo l’avvio dell’inchiesta, deve ancora incominciare e nel frattempo è stato trasferito a Roma per competenza territoriale. Ma è interessante ricordare che Esposito entra nella vicenda proprio perché dalle intercettazioni (non autorizzate e quindi non utilizzabili, ancorché per il pm sono fulcro e unico appiglio per l’accusa all’ex senatore) emergerebbe un suo interessamento in merito all’interdittiva. Quella che, alla luce dell’archiviazione, non sarebbe dovuta scattare. Insomma, c’era più di una ragione per cercare di capire le motivazioni di quella decisione e della loro reale solidità.

Intanto trascorrono otto anni per arrivare a stabilire che Muttoni nulla ha a che fare con la criminalità organizzata, ma che neppure le sue società sono state oggetto di infiltrazione mafiosa. Nel frattempo il disastro economico (e personale) si è compiuto, con tutto il tempo concesso. E ne sarebbe trascorso ancora se non fosse stato per il legale dell’imprenditore, Fabrizio Siggia, il quale si è rivolto alla Procura della Repubblica per sapere che fine avesse fatto l’inchiesta, rimasta pendente oltre ogni limite previsto. Archiviato in data 7 agosto 2023 il procedimento penale a carico di Muttoni e del suo socio Lorenzo La Rosa, per l’ipotesi di reato prevista dall’articolo 416 bis del Codice Penale.

Una vicenda non solo tutt’altro che conclusa, tra l’altro con il procedimento disciplinare aperto dal Procuratore Generale della Cassazione nei confronti del pm Colace e della gip Lucia Minutella, ma che potrebbe essere destinata a svelare altri suoi lati oscuri, o comunque poco chiari, sul fronte della conduzione giudiziaria dell’inchiesta. Sarà probabilmente da chiarire, da parte della Procura, la ragione per cui il numero di registro del procedimento archiviato sia differente rispetto a quello del fascicolo che traeva origine dall’informativa della sezione di Pg dei Carabinieri risalente al 17 giugno 1019. C’è stata forse una confluenza di un fascicolo in un altro? E se sì, è lì che ci sono tutte le carte e, forse, altre intercettazioni? La difesa di Muttoni ravvisa altre possibili anomalie, tra date di iscrizione nel registro degli indagati, l’assenza nel fascicolo dell’originaria informativa della Pg e altre possibili difformità, tanto da rivolgersi al Procuratore Generale con una lunga e dettagliata memoria.

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