BERLUSCONES

Forza Italia, 30 anni (e sentirli tutti). La memoria storica di chi non c'era

Il futuro alle spalle del partito del dipartito, che vive nel nome del suo fondatore. Celebrazioni affidate agli ultimi arrivati, mentre quelli della prima ora osservano da lontano l'involuzione della rivoluzione liberale di Berlusconi. Dell'Utri: "Di Silvio restano solo le ceneri"

“No, oggi non ci vado alle celebrazioni” per i trent'anni dalla fondazione di Forza Italia. Marcello Dell’Utri che con Silvio Berlusconi (Antonio Martino e Giuliano Urbani) è stato il fondatore del partito, il vero uomo macchina, colui che diede la prima struttura organizzativa mettendo al servizio la rete dei venditori di Publitalia, racconta in un’intervista al Foglio perché oggi non sarà presente alla cerimonia. Cosa resta di Berlusconi? “Le ceneri”. Poi aggiunge: “Resta un partito che vive nel suo nome e resta un’azienda che, questa sì, è saldamente in mano ai suoi figli. E funziona”. Alla domanda se sia stato invitato alle celebrazioni, Dell’Utri risponde: “Mi hanno invitato, sì. Mi ha telefonato Maurizio Gasparri. Ma che cosa vuole che si dica in una giornata come questa? Quali parole sarebbero adatte? Solo il silenzio. Io avrei organizzato una giornata di silenzio. E poi non sono stati invitati tutti i veri fondatori di Forza Italia, gli uomini di Publitalia: Miccichè, Ghigo, Galan per citare i primi che mi vengono in mente. Non vado anche per rispetto nei confronti di queste persone. Quelli che c'erano sul serio”.

In Piemonte, appunto, Enzo Ghigo, capo di Pubblitalia locale, prima deputato e poi presidente della Regione per due mandati, il chirurgo plastico Edro Colombini, i fratelli costruttori Alessandro e Nino Cherio e Angelo Burzi, scomparso tragicamente la notte di Natale di due anni fa, che rappresentava forse lo spirito autentico di quel partito che conquistava gli italiani con il più seducente degli ossimori politici, la “rivoluzione liberale”. Burzi fu l’unico a perdere alle politiche del 1994, sconfitto da Diego Novelli, che la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto aveva schierato nel collegio di San Paolo. In questa giornata di celebrazioni, non si sentiranno neanche le voci di Marco Francia e di Alessandro Meluzzi, un ex Pci transitato nel Psi craxiano, protagonista della prima impresa di Forza Italia in Piemonte: la vittoria nel collegio di Mirafiori, la roccaforte rossa dove votavano gli operai della Fiat, contro un campione del Pds come Sergio Chiamparino.

Oggi, invece, a celebrare, con turibolo e incenso, ci sono quelli che non c’erano. Gente del calibro di Roberto Rosso, detto Red Patacca per distinguerlo dall’omonimo ex sottosegretario (poi passato in Fratelli d’Italia e finito in guai giudiziari), il cui cursus politico attraversa tutto il centrodestra partendo dalla Lega Nord di Gipo Farassino a successive transumanze (accolito del federale di An Ugo Martinat e poi l’approdo ai lidi berlusconiani). “Sono trascorsi 30 anni dal 26 gennaio 1994, il giorno che segnò l’inizio di un sogno che si faceva realtà: la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la nascita di Forza Italia”, scrive l’odierno senatore e vicecapogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama. Ricordi presi in prestito, evidentemente: “In questi 30 anni insieme al nostro Presidente abbiamo affrontato tante battaglie, difendendo valori e ideali volti a fare dell’Italia un Paese più moderno”.

Parole che fanno il paio con quelle di un altro illustre neofita alla causa azzurra, planato per meriti familiari (è il fratello dello storico medico personale del Cav) alla guida di un partito in cui non ha fatto un giorno di militanza e a cui, raccontano i maligni, si era iscritto il giorno prima: Paolo Zangrillo, attuale ministro in carica (ancora per poco, secondo rumors romani) e coordinatore piemontese: “Oggi festeggiamo un traguardo importante che ci emoziona e ci invita a guardare avanti: trent’anni di Forza Italia. Non fermiamoci, abbiamo ancora tante battaglie da vincere insieme! Continuiamo a credere nel sogno di Silvio Berlusconi. Continuiamo a credere in noi”. E vai a manetta con la retorica più bolsa: “Sappiamo guardare avanti: lo abbiamo dimostrato in questi mesi di dolore per la perdita del nostro fondatore. Ci siamo sentiti soli, spaesati, ma abbiamo saputo unirci e stringerci ancora di più tra di noi. Ci siamo rialzati, più forti di prima, con una nuova luce che ci guida e ci segue da lassù”. Amen.

Dell’Utri invita a non farsi troppe illusioni. Alle elezioni europee, il partito azzurro “è tanto se terrà. Ma non crescerà come pensano alcuni dirigenti. Ci sono persone che la voteranno, sì. Perché è ancora vivo il ricordo di Silvio. Ma nulla più”, prosegue nella sua intervista. La leadership è quella che è, non proprio travolgente: Antonio Tajani è “l’unico che era rimasto disponibile e spendibile in quel partito. E poi è anche uno storico. C’era dall’inizio”. Come dimenticarlo “in-vece” di Berlusconi. Alla domanda se l’erede del Cav in politica sia Giorgia Meloni, Dell’Utri replica: “In qualche modo. È stata ministra di un governo di Silvio”. Il consiglio? "Continuare a essere sé stessa. Che è la sua forza. Lei non si atteggia, non copia un modello straniero. Se Silvio fosse ancora qui tra noi penso che suggerirebbe a Meloni di fare un partito unico del centrodestra” per “costruire quella cosa che Silvio non è riuscito a fare con il Pdl, perché era un genialissimo impolitico”. La conclusione è ancor più amara. Cos’è Forza Italia oggi? “Un bel marchio che ricorda Silvio Berlusconi”. In memoriam.

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