SACRO & PROFANO

Papa "cordiale", vescovi preoccupati

Terminata la visita ad limina dei titolari delle diocesi piemontesi che ora attendono con trepidazione le risoluzioni del pontefice. L'omaggio a Pio V. Luci (poche) e ombre (tante) di Cuneo nella relazione di mons. Delbosco. Il "giusto" don Barale

Si è dunque conclusa la visita ad limina dei vescovi piemontesi con loro piena soddisfazione. Celebrazioni mattutine alle basiliche papali e giro di rito ai dicasteri romani hanno caratterizzato le giornate romane e le immagini diffuse ritraggono un gruppo di maturi signori vestiti da tramviere a passeggio per la Città Eterna sorridenti e giulivi come in gita scolastica. Addirittura, li abbiamo visti – Derio Olivero compreso – rendere omaggio al piemontese San Pio V – il papa di Lepanto, dell’Inquisizione e del Messale che porta il suo nome – davanti all’urna che ne conserva le spoglie a Santa Maria Maggiore. Il più pittoresco – come sempre – è stato il giovanilistico monsignor Guido Gallese, vescovo di Alessandria, l’unico in abito talare ma, in un impeto penitenziale, con i sandali ai piedi scalzi, indossati anche nel rigido gennaio romano. Giovedì mattina sono stati ricevuti dal Santo Padre – e questo è stato il clou della visita – che si è intrattenuto con loro per più di un’ora e dove non sono mancate le cordialità. Proprio questo è però l’aspetto che più impensierisce chi ben conosce il modus agendi et castigandi del papa. Ma ne riparleremo.

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Delle Relazioni quinquennali inviate per la visita – che ricalcano uno schema prefissato – è stata resa pubblica, e ne va dato merito al vescovo Piero Delbosco, quella della diocesi di Cuneo-Fossano. Essa, in quasi 120 pagine rappresenta un campione interessante che fotografa una situazione ecclesiale con molti problemi ed è relativa a un territorio che ha impiegato ben 23 anni per unificare le due diocesi e dove al 31 dicembre 2022 gli abitanti erano 155.000, i preti diocesani 127 per 115 parrocchie, 33 religiosi, 10 diaconi permanenti e 3 seminaristi. Nonostante questi numeri che manifestano una scarsità di clero, la percentuale di coloro che partecipano alla Messa domenicale, «comunque diminuiti», è ancora relativamente alta (12-15%) rispetto ad altre diocesi piemontesi. Circa lo studio della teologia viene detto che dal corrente anno accademico «in ragione dell’impossibilità di accogliere nuove immatricolazioni, l’unico seminarista che frequenta la prima teologia segue i corsi nella facoltà teologica di Torino» e questo – ma non viene detto – è il risultato della visita apostolica compiuta qualche anno fa e che preludeva alla chiusura dello Studio Teologico Interdiocesano (Sti) noto – anche a detta di chi lo frequentava – per l’ottimo insegnamento di stampo simil-riformato incardinato su tre direttrici: teologia senza Soprannaturale, morale senza Comandamenti, liturgia senza Sacro. Adesso tutte le speranze – e i contenuti di cui si è detto – vengono riposte nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose (Issr) in vista non solo degli insegnanti di religione ma dei «nuovi ministeri». Alta è ancora la percentuale (82%) degli avvalentesi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole ma con l’auspicio che tale insegnamento non abbia nulla di catechistico ma valorizzi il cattolicesimo ridotto a «patrimonio storico, culturale e teologico».

Una proposta innovativa è poi quella della eventuale presenza, come professori di religione o teologia, di eventuali presbiteri che hanno lasciato il ministero, dei quali già tre in funzione. Lo stato del clero è connotato «da una certa stanchezza e negli ultimi anni ci sono stati presbiteri che hanno chiesto un tempo per riflettere sul loro ministero: oltre a un’azione pastorale che non sembra portare frutti copiosi, la dimensione affettiva, la questione del celibato – seppur ritenuto come un valore – si impongono come riflessione da prendere in considerazione. Qualcuno non si ritiene persuaso sull’opportunità di mantenere il celibato come legge per tutti». Il vescovo si dimostra poi soddisfatto perché «una buona parte – circa il 40% – dei presbiteri nelle occasioni ufficiali veste l’abito ecclesiastico». Per le comunità religiose, un tempo fiorenti, «si potrebbe parlare di inverno» e in questi anni vari istituti di vita consacrata hanno chiuso. Il tasso di natalità della diocesi di Cuneo è pari allo 0,9%, nel territorio diocesano il numero dei matrimoni civili o religiosi si è ridotto in dieci anni del 20%. Le conclusioni della Relazione si dice preoccupata dal forte calo delle vocazioni e che si sta valutando «la possibilità di un Seminario regionale o di Metropolia» mentre «la Commissione vocazionale sta lavorando bene (sic) anche se frutti si vedranno solo fra qualche anno». I rimedi sono tutti di natura funzionalistica – riorganizzazione, formazione, revisione delle parrocchie ecc. – assente ogni richiamo alla preghiera. In ultimo, monsignor Delbosco si permette di suggerire «un ripensamento delle attuali quattro Diocesi della provincia di Cuneo», secondo le indicazioni più volte espresse dal Santo Padre.

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Il refrain per cui più gli indici statistici sono sconfortanti più si è contenti e arresi al mondo si ritrova anche nel libro del vescovo di Asti, monsignor Marco Prastaro, il più boariniano dei presuli piemontesi e pupillo del papa, dal titolo: Dio dove sei finito? Inquietudini e interrogativi su di una Chiesa che diviene minoranza.   Il tema sviluppato è sempre il solito, la secolarizzazione avanza inesorabile, inutile tornare al passato – cioè a evangelizzare – stiamo ben stretti ai nostri piccoli numeri e guardiamo avanti limitandoci ad accompagnare il mondo nel suo itinerario verso il nulla senza troppe pretese identitarie. Anzi, la Chiesa dei piccoli numeri è perfetta in quanto è l’occasione «per diventare più genuina e fedele al Vangelo, più fraterna, più esperta delle cose di Dio. I cristiani stanno entrando in una stagione che li aiuterà a recuperare una vita di fede più solida, piena e convinta». Monsignor Prastaro porta poi come esempio le Chiese dell’Africa, dove è stato missionario. Su questo punto tutta da leggere è l’intervista concessa in questi giorni a Repubblica dall’arcivescovo di Kinshasa, cardinale Fridolin Ambongo Besungu dove, senza tanti complimenti, ha detto che l’Occidente è una «società decadente», dove «non si amano i bambini», dove «si vuole distruggere la famiglia tradizionale» pretendendo, attraverso i finanziamenti dell’Onu, di propagare «l’ideologia Lgbt» e per questo a poco a poco sparirà – augurandogli infine una «buona sparizione!». Qualcuno ha scorto nel testo e nella prosa del libro del presule l’impronta delle sorelle della Fraternità della Trasfigurazione della virgo plus quam potens, la venerata madre Anna Bissi, con sede a Vercelli ma sbarcate ad Asti al seguito di monsignor Prastaro.

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L’assemblea diocesana sul “Centro Eucaristico” di sabato 20 gennaio scorso al Santo Volto di Torino è stata un successo nella partecipazione, non tanto dei preti quanto dei laici e perché molta era l’attesa per il futuro delle Messe domenicali, la cui frequenza non appare più né sostenibile, né garantita a motivo della progressiva diminuzione dei preti. Due sono state le esperienze esemplari che – pur non dichiarando gli organizzatori essere tali – tutti hanno capito che lo dovranno diventare. Si tratta dell’Unità pastorale 22 dove le parrocchie di Cavoretto, Madonna Addolorata e Madonna di Fatima hanno un unico parroco nella persona dell’ex vicario per l’economia don Maurizio De Angeli e, naturalmente, Grugliasco (Unità pastorale 46) dove tutte le 5 parrocchie sono state nella pratica accorpate in una da don Paolo Resegotti che per i boariniani costituisce da sempre un modello di pastorale innovativa. Il processo, dunque, è avviato con l’obiettivo di tagliare le Messe e celebrare funerali e matrimoni senza Messa. Tanto, come ormai è opinione comune e come il buon don Lucio Casto ha lamentato, la teologia del suffragio per le anime è superata e ai defunti si può tranquillamente impartita una semplice benedizione.

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Chi, recatosi a Gerusalemme, abbia visitato il Memoriale della Shoa dello Yad Vashem e avrà percorso il “Giardino dei Giusti fra le Nazioni” si sarà imbattuto, proprio al suo inizio, nella targa posta su di un albero che ricorda monsignor Vincenzo Barale (1903-1979), una delle più luminose figure, fra le tante, del clero torinese. Egli fu segretario dell’arcivescovo, cardinale Maurilio Fossati (1876-1965), per tutto il corso del suo lungo episcopato, dal 1931 alla morte. Come bene ha ricordato don Giuseppe Tuninetti sul settimanale diocesano, monsignor Barale aiutò in tutti i modi le famiglie ebree perseguitate dai nazisti e dai fascisti offrendo loro rifugio e sollecitando l’aiuto di vari sacerdoti. Per questo fu arrestato con altri preti il 3 agosto 1944 e tradotto alle Nuove dove rimase sino al 10 ottobre. Nel dopoguerra, le autorità delle comunità israelitiche espressero in più occasioni il riconoscimento per la sua opera che rese la salvezza a intere famiglie. Soltanto nel 1970, spinto da amici ed estimatori, monsignor Barale si decise a pubblicare un volumetto di memorie – Porpore fulgenti. Il cardinale Maurilio Fossati e la guerra di Liberazione – attribuendo ogni merito della sua azione all’amato arcivescovo. Ad un giorno dalla Giornata della Memoria vale la pena di ricordarlo.

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