DIRITTI & ROVESCI

Giustizia sommaria all'Università, sinistra e Pd cavalcano il #MeToo

Ateneo subalpino nella bufera per alcuni presunti casi di molestie. I due professori sono già stati condannati, senza processo, dal tribunale orwelliano. Fanatismo ideologico e sbornia neopuritana: colpevole è tutto il sistema. Addio allo stato di diritto

“Tremate, tremate le streghe son tornate”. A dispetto del calendario, non è il Carnevale quello che si sta scatenando all’Università di Torino bensì il sabba del MeToo, versione domestica del celebre movimento nato nel cuore delle grandi università liberal americane quasi un decennio fa e arrivato fino a Hollywood che si è progressivamente trasformato da arma di emancipazione femminile a strumento ideologico. Su quell’onda di fanatismo e puritanesimo sono stati colpiti e messi alla gogna indistintamente e sommariamente professori e registi, manager, celebrità e anonimi disgraziati.

L’Università subalpina è stata recentemente scossa da un paio di casi di presunte molestie. L’ex direttore della scuola di Medicina Legale, Giancarlo Di Vella, è finito agli arresti domiciliari accusato di stalking, falso e minacce, oltre ad aver approfittato della sua posizione per tenere comportamenti ambigui nei confronti delle specializzande. Tra le accuse, sfioramenti, baci rubati e frasi inopportune. Un docente del dipartimento di Filosofia, Federico Vercellone, è stato sospeso per un mese a causa di una chat con foto e video sconvenienti e per alcune battute giudicate “irriguardose”. Sono colpevoli? Ovviamente no, secondo i più elementari principi dello stato di diritto. Ovviamente sì, per quel tribunale orwelliano per il quale la presunta vittima va creduta sempre e contemporaneamente il presunto carnefice è da condannarsi solo sulla base di un sospetto.

Per “Cambiare Rotta”, formazione giovanile comunista molto attiva a livello studentesco, la responsabilità di eventuali, deprecabili e schifosi comportamenti non è personale: “Non un’altra mela marcia, ma lo stesso modello di ateneo. Contro le molestie per una nuova università in una nuova società!” si legge nella nota diffusa oggi per annunciare il blocco delle lezioni e la mobilitazione generale. “L’istituzione universitaria ha risposto con una banale e un’insufficiente sospensione del professore per un mese, tra l’altro neppure con effetto immediato”. Cambiare Rotta vuole di più: “Non possiamo parlare di casi isolati: quello con cui ci stiamo interfacciando è un modello le cui radici producono e permettono violenza. Riteniamo inaccettabile che lo sfruttamento dello status sociale privilegiato di soggetti con una posizione di sicurezza sociale e economica diventi sistematicamente una legittimazione per prevaricazione, ricatti e molestie”.

La buttano in politica e la politica nella vicenda ha grande parte. Il dipartimento di Filosofia e Scienze dell’educazione, diventato in pochi giorni un covo di orchi lussuriosi traditi da “sguardi lascivi” e “battute inopportune”, è infatti diretto da Graziano Lingua, per alcuni anni segretario del Pd di Cuneo e oggi nel Consiglio generale della locale Fondazione Cassa di Risparmio proprio in quota dem. In quello stesso dipartimento ha lavorato anche un altro ex segretario del Pd, Paolo Furia, che ha guidato il partito piemontese dal 2018 fino allo scorso anno e che è stato assegnista di ricerca con il professor Vercellone, finito nel tritacarne di accuse da cui, annuncia, intende difendersi in ogni sede. Accuse che giorno dopo giorno sembrano ridimensionarsi rispetto alle prime soffiate filtrate da via Verdi quando si era parlato addirittura di “chat con foto e video sconvenienti”. Tutto smentito dal diretto interessato, secondo cui “è ridicolo solo pensarlo”.

Ci sono 138 casi segnalati allo sportello antiviolenza del Campus Einaudi. Sono 138 potenziali reati ma anche 138 potenziali calunnie. Giustamente la segnalazione è anonima, il segnalato, però, è su tutti i media e già sta subendo la giustizia sommaria. E mentre il rettore Stefano Geuna, da qualche mese in crisi di consenso interno, dopo essere stato costretto a ritirare la sua proposta di riforma dello Statuto, annuncia “misure sempre più severe per chi ha esercitato molestie e soprusi” e addirittura convoca per il 20 marzo prossimo, giornata delle università italiane, un tavolo nazionale sui temi legati alle violenze di genere, a soffiare sul fuoco ci pensa un’altra esponente politica, anche lei del centrosinistra, l’ex assessora regionale alla Cultura Antonella Parigi. Che da giorni, con il suo MeToo, già pronuncia la sentenza di un processo che è solo sui giornali. Travolta dagli eventi (e dalla consulta delle suffragette di partito), anche la Federazione dem di Torino ha dovuto sottoscrivere un comunicato di “totale solidarietà e vicinanza alle giovani studentesse e alle professioniste che con coraggio e determinazione stanno portando alla luce episodi di molestie in ambiente universitario, che non devono più essere taciuti o tollerati”.

Non importa come questa vicenda andrà a finire, per il professor Vercellone la presunzione d’innocenza è solo un tentativo “di delegittimare le voci scomode e di dissenso” secondo quanto riporta la nota del Pd. Ormai è diventato Porcellone, come si legge sulla targa davanti al suo ufficio, imbrattata in queste ore. “Rifiutiamo la retorica delle mele marce, perché tende a deresponsabilizzare il sistema intero che consente a molestatori di ogni tipo e grado di continuare indisturbati nella loro attività”. Insomma, ogni professore è colpevole, ogni ricercatore, ogni studente. Ogni uomo.

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