SACRO & PROFANO

"Rispetto e umiltà verso il Papa", l'autodafé di Enzo Bianchi 

«Papa Francesco è il successore di Pietro, ed è stato chiamato a compaginare e a presiedere la comunione nella Chiesa e fra le Chiese. A lui si deve il massimo rispetto, anche quando magari non si è d’accordo nel giudizio su alcune realtà o su provvedimenti. Questo non significa che non sia possibile una rispettosa critica, ma si richiede umiltà. E, in ogni caso, premura e preghiera per chi è stato posto a pascere la Chiesa di Dio». L’autore di questa splendida esortazione non è il compianto cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova e campione dell’ortodossia cattolica, o qualche altro esponente del conservatorismo ecclesiale. Essa è invece dell’ex priore di Bose, Enzo Bianchi, il quale in un suo recente intervento su Vita Pastorale, ha invitato i preti a riprendere in mano il sinodo dopo essersi turbato scoprendo che la maggior parte delle persone non sa nemmeno che cosa sia e che le parrocchie non hanno fatto a quanto pare un bel nulla. Per questo, secondo lui occorre che i vescovi richiamino con forza i preti altrimenti – pensate un po’ – la Chiesa, priva della «sinodalità», decadrà inesorabilmente in quanto «solo una pratica sinodale può risvegliare le comunità cristiane e farle vivere». A tal proposito, «resta perciò essenziale l’unità della Chiesa attorno al Papa» che oggi è al centro di attacchi che lo delegittimano.

Gli accenti di filiale devozione al Vicario di Cristo – espressione che solo gli «indietristi» si permettono di usare – sono commoventi e da accogliere in toto ma avremmo voluti ascoltarli anche verso Benedetto XVI quando questi era al centro di una forsennata campagna di attacchi quotidiani da parte del giornale sul quale il guru di Albiano scrive o ancor di più nei confronti di San Giovanni Paolo II che per tutto il suo pontificato fu oggetto di critiche spesso astiose, subdole e, queste sì veramente delegittimanti, da parte di quei circoli progressisti di cui l’allora onnipotente e onnipresente Enzo Bianchi era magna pars. Solo un piccolo esempio. Nel 2004 uscì per le edizioni Einaudi un pamphlet di Alberto Melloni, storico e capofila della “Scuola di Bologna” (Fondazione per le scienze religiose), dal titolo Chiesa madre, chiesa matrigna in cui svolgeva una severa e impietosa disamina del pontificato di papa Wojtyla colpevole di non aver risolto i problemi lasciatigli dal predecessore Paolo VI ma di averli aggravati per cui il carisma del pontefice polacco sarebbe stato soltanto una gigantesca illusione ottica. Nel recensire su Tuttolibri il volumetto, l’allora priore di Bose – da sempre membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione bolognese – lo definì «un toccasana».

Molto è mutato da allora e così lo stesso Melloni ha preso da tempo le distanze da papa Francesco – che prima difendeva a spada tratta – pare dopo uno scontro con lo stesso pontefice davanti al quale era andato a perorare la causa di Enzo Bianchi, al tempo caduto in disgrazia. Proprio in questi giorni lo storico emiliano ha sferrato su Il Mulino un attacco a Fiducia Supplicans ritenendo la Dichiarazione non abbastanza progressista, un maremoto inutile, inefficace, controproducente e persino volgare. Essa, scrive Melloni «passerà agli annali, come inutile (chi lo faceva continuerà, chi è ostile la negherà), inefficace (se l’obiettivo era silenziare il dibattito nel Sinodo tedesco questo è stato mancato), controproducente (la descrizione dell’amore fra persone dello stesso sesso fornita in quell’atto è più astiosa e ingiusta del catechismo) e volgare (la raccomandazione di contenere la benedizione in 15 secondi che è un sesto di una benedizione data ad una stalla)».

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Traditores Custodes

Nel citato articolo, Enzo Bianchi lamenta che oggi la liturgia è in crisi non perché devastata dalla creatività più stupida e profana ma perché la Messa è diventata un «luogo di straniamento» e non di fraternità. Un bell’esempio di fraternità liturgica lo ha posto allora in atto il prevosto di Santhià, don Andrea Matta, il quale, ritenendo forse superate le reliquie dei santi e dei martiri e fosse quindi necessario farsi una bella risata a carnevale ha collocato in duomo e infra ritum la statua del rubicondo Gianduja alla venerazione dei fedeli. Ma allora perché non mettere il naso rosso a Cristo in croce? O magari disegnare i baffi alla statua della patrona della città Sant’Agata? O ancora vestire da Zorro il corpo di Sant’Ignazio di Santhià ivi sepolto? Quali fraterne risate… Sarebbero questi – secondo l’interrogativo che dà il titolo ad un denso articolo dell’arcivescovo Roberto Repole – i preti di cui avremmo bisogno: goliardici e dissacratori, veri ministri del grottesco?

Intanto per vivere meglio la Quaresima l’amico e maggiore sponsor di monsignor Repole sulla cattedra episcopale torinese, l’arcivescovo di Modena e Carpi, monsignor Erio Castellucci, ha organizzato presso il museo diocesano di Carpi la mostra di un artista locale che sta suscitando reazione indignate e raccolte di firme in quanto vi compare davanti all’altare di una chiesa – speriamo sconsacrata – il quadro di Cristo in croce con chinato su di lui un uomo nudo rivolto verso le parti intime di Nostro Signore e con la mano destra nascosta dietro le cosce del Redentore, mentre la sinistra si  allunga fino a premere il costato di Gesù.  Insomma, una fellatio sacra che induce ad una naturale ripugnanza. In altro quadro è dipinta la Vergine Maria spogliata dai farisei che vogliono indagare sul suo concepimento virginale. Appena inaugurata la mostra con tanto di vicario episcopale per la pastorale (?) sono partite le proteste alle quali il vescovo che è un fior di teologo ed intellettuale – altrimenti non sarebbe così intimo del nostro arcivescovo – ha risposto con sprezzo tacciando ovviamente di ignoranza e zoticoneria gli allibiti fedeli incapaci di comprendere il percorso compiuto dall’artista e ad apprendere una «corretta visione» delle opere esposte. Pertanto, il comunicato della curia modenese risponde non con la chiusura della mostra, come ha chiesto un gruppo di giovani e di famiglie, ma con un addendum al suo catalogo, «un sussidio che presenta le singole opere dal punto di vista dell’artista e che illustra la sua ricerca religiosa e spirituale, fornendo gli elementi culturali e personali per comprenderne il senso». Niente da fare quindi, l’importante è compiacere quella intelligencija clericale arresa al mondo a cui importa solo il dialogo con l’intelligencija radicale che di Cristo e della fede non sa proprio che farsene.

Il vertice è stato però raggiunto da Avvenire dove Alessandro Beltrame, intervenendo in difesa della mostra ha scritto che «ognuno vede solo ciò che è abituato a guardare» con ciò facendo intendere come i cattolici feriti altro non siano che dei pornografi. Nella lettera delle famiglie queste chiedono a monsignor Castellucci se la funzione delle raffigurazioni oscene ed oltraggiose di Cristo e della Madonna non sia quella di scandalizzare i piccoli: «I piccoli di cui parla Gesù nel Vangelo sono in primis i nostri figli, che educhiamo con tanta fatica; che teniamo lontani dalla pornografia dilagante; che incoraggiamo a venire a Messa perché la fede ci ha cambiato la vita; che vorremmo appassionare all’arte, quella vera e veramente “sacra”, che suscita sentimenti di abbandono e fiducia nel Signore. Non scandalizzate questi nostri piccoli: siate Chiesa, siate Madre che, come sposa di Cristo, gli rimane fedele e ha cura dei suoi figli».

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