SACRO & PROFANO

"Ho sempre difeso Benedetto XVI". Enzo Bianchi scrive allo Spiffero

L'ex priore di Bose afferma di aver "sempre avuto ascolto e ubbidienza per il ministero di Pietro, insieme all'affetto almeno per i due ultimi papi". La risposta di Eusebio Episcopo: "È giunto il tempo di riconsiderare certe prese di posizione"

A Eusebio Episcopo. Siccome ho scoperto di attirare la sua attenzione di vigilante/ispettore come lei si firma voglio semplicemente manifestarle che sovente mi trovo d’accordo con lei nella protesta riguardo alla liturgia e alle strategie pastorali, ma dissento quando di me scrive che non ho difeso Papa Benedetto che era mio amico e di cui sempre ho cercato di mettere in luce la sua mitezza la sua sapienza teologica e la sua qualità di uomo e cristiano retto.

Quanto a Giovanni Paolo è vero che sentivo una distanza perché la mia sensibilità si è formata sotto Paolo VI e il card. Pellegrino. Tuttavia, non l’ho mai criticato e tale era la fiducia in me che mi chiamò a collaborare per le liturgie del Giubileo 2000 per le encicliche Orientale lumen e Ut unum sint e mi ha inviato a Mosca a portare l’icona della madonna di Kazan’ al patriarca di tutte le Russia. Dunque, per il ministero di Pietro ho sempre avuto ascolto e ubbidienza insieme all’affetto almeno per i due ultimi papi. Mi critichi e sarò contento, ma quando coglie la verità.

Grazie e buona vigilanza

fr. Enzo Bianchi, monaco di Bose

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Risponde Eusebio Episcopo

Nel maggio del 1989, a pochi mesi da quell’evento epocale che fu l’inaspettata caduta del muro di Berlino, preludio alla fine del comunismo al quale il pontificato di San Giovanni Paolo II aveva dato un non piccolo contributo, veniva pubblicata una lettera di 63 teologi, storici e filosofi italiani; il manifesto più eclatante dell’opposizione che dopo un decennio si era formata contro la linea del papa polacco e del suo più stretto collaboratore in campo dottrinale e cioè il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede il cardinale Joseph Ratzinger. Essa  faceva seguito  ad un documento analogo di qualche mese prima, la Dichiarazione di Colonia, con la quale i teologi di lingua tedesca esprimevano aperto dissenso verso i «forti segnali di involuzione» che, secondo il loro giudizio, erano in atto allora nella Chiesa cattolica: «nomine di vescovi mirate alla modificazione degli equilibri interni delle singole conferenze episcopali, destituzione di personaggi scomodi, scissione tra il livello della fede vissuta tra i cristiani e le preoccupazioni che invece emergono nel linguaggio ufficiale della Chiesa». A rileggerli oggi viene immediatamente da pensare allo stile dell’attuale Successore di Pietro…

Tra i firmatari della lettera – che costituivano il fronte organizzato dell’opposizione al pontificato (altri tra cui nomi di qualche torinese di spicco che abbiamo conosciuto non se l’erano sentita di firmarla), vi era il priore di Bose Enzo Bianchi. Per questo lo ringraziamo della sua gentile lettera e prendiamo atto degli attestati di apprezzamento che, pur nella diversità anche radicale di prospettive e di pensiero, rivolge alle nostre noterelle settimanali. Dialogare anche da sponde opposte è sempre fecondo, oltreché cristiano.

Appare comunque ogni giorno più evidente dai suoi ultimi scritti come egli – anche dopo le traversie con la comunità che aveva fondato – si senta sempre più a disagio con le tendenze dell’attuale pontefice alla cui difesa, vedasi intervento sull’Ucraina, accorre quasi come avvocato d’ufficio. Non si dirà mai apertamente, ma è chiaro come Francesco abbia largamente deluso le aspettative di tutto quel vasto arcipelago progressista che vide nella sua ascesa al Soglio una vera e propria liberazione, un ritorno al primo Paolo VI e ai fermenti post-conciliari, soprattutto ora che il pontificato volge al tramonto e ha perso la sua «spinta propulsiva».

Comprendiamo perciò l’intimo dramma di credenti come Enzo Bianchi che vedono spegnersi inesorabilmente la fede, rattrappirsi le comunità, devastata la liturgia, l’ecumenismo andato a rotoli, la Chiesa ridotta ad agenzia di servizi e priva di pastori coraggiosi, mentre non basta più prendersela con la secolarizzazione o la mancata attuazione del concilio. Nel suo ultimo articolo lo stesso Bianchi è arrivato a menzionare fra questi ultimi persino il cardinale Siri.

La sua generazione ha però un grave limite e questo pesa e peserà nel giudizio dei posteri: nessuna disponibilità ad una sincera autocritica, ma sempre e solo una esaltazione senza ripensamenti della loro esperienza. Eppure la saggezza, l’età e un doveroso distacco dalle passioni del tempo dovrebbero rendere disponibile anche fratel Enzo a quelle Retractationes di agostiniana memoria, utili alle esigenze di difendere, non solo la coerenze delle proprie scelte, ma anche quelle di riconsiderare, proprio come fece il vescovo di Ippona, certe sue prese di posizioni che per primo il compianto monsignor Antonio Livi (1938-2020) aveva, ai tempi in cui il priore di Bose riceveva gli applausi del mondo, con acutezza teologica e filosofica (Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica scienza della fede da un’equivoca filosofia religiosa, 2012), messo in luce. Oggi che il consenso degli uomini – come tutte le cose di questo mondo – lo ha abbandonato potrebbe essere venuto il tempo propizio.

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