ENTI LOCALI

Province, Meloni frena sul ddl. Riforma rinviata a dopo il voto

La premier non vuole fornire un vantaggio alla Lega, né rischiare l'accusa di aumentare le poltrone. Spinte bipartisan verso il superamento della Delrio, "una vaccata" per Calderoli. In Piemonte c'è chi scalda i motori alle regionali pensando alla fascia azzurra

“La più grossa vaccata nella storia del Paese”. Anni dopo aver bollato come “porcata” la sua legge elettorale che da quell’autocritica mutuò subito in porcellumRoberto Calderoli anni dopo torna ad attingere nella fattoria, stavolta per bollare l’altrettanto famigerata legge Delrio che, sempre per restare in tema, ha trasformato le Province in altrettante anatre zoppe. Il ministro leghista degli Affari Regionali non lancia a caso l’intemerata. Il disegno di legge delega che prevede la tanto attesa cancellazione della riforma che porta il nome dell’allora ministro del Pd, Graziano Delrio, e il ritorno all’elezione diretta degli organi provinciali è, di fatto, pronto e firmato dal sottosegretario agli Interni Wanda Ferro di Fratelli d’Italia

Ma è proprio la leader del suo partito che da Palazzo Chigi avrebbe impartito l’ordine ai suoi di non muovere nulla sul fronte delle Province fino al voto europeo. Giorgia Meloni che nel 2014 aveva presentato un disegno di legge per abolire le Province sembra abbia ben chiaro il rischio che inserire nella campagna elettorale un tema come quello che i detrattori sintetizzano in un ritorno alle poltrone potrebbe comportare. Quindi, bocce ferme almeno fino all’esito delle elezioni. Nella strategia del freezer imposta dalla premier non può non essere letta anche l’intenzione di non offrire a un Matteo Salvini in difficoltà un facile assist come quello della riforma degli enti locali intermedi, da sempre cavallo di battaglia della Lega. Uno schema, quello meloniano, che ricalca cu carta a carbone quello imposto sempre dalla premier all’altro vessillo leghista, ovvero l’autonomia regionale rafforzata, predisposta da Calderoli e il cui iter parlamentare mostra il freno a mano tirato, anche in questo caso per non offrire vantaggi a Salvini alle elezioni, col sovrappiù dello stretto legame con l’altra riforma, assai più cara alla Meloni, quella del premierato.

Questione ormai datata quella delle Province, così come sempre più ampio e trasversale da destra a sinistra il fronte che reclama un deciso superamento della Delrio e un ritorno alla situazione precedente, con le elezioni dirette e non come avviene attualmente attraverso il voto ponderato dei Comuni, ma anche il ripristino di una serie di competenze che la prospettata e mai avvenuta cancellazione degli enti prevista dalla riforma dell’allora ministro dem aveva eliminato.

Più d’uno, dall’inizio della legislatura, i disegni di legge presentati sul tema. Lo avevano fatto i senatori leghisti Massimiliano Romeo e Daisy Pirovano, ma anche quelli di Fratelli d’Italia Marco Silvestroni e Gaetano Nastri, così come analoga iniziativa per Forza Italia era arrivata da Licia Ronzulli e altri. Proposte il cui esame in commissione era stato fermato dopo l’annuncio del ddl del governo, affidato al sottosegretario Ferro. A premere per una rapida messa in soffitta della Delrio sono anche gli amministratori locali dello stesso partito dell’allora ministro artefice della “vaccata” per usare il vocabolario di Calderoli. Spinge il presidente dell’Anci Antonio Decaro che nei giorni scorsi ha confabulato a Montecitorio col ministro leghista. Preme il presidente dell’Upi, l’Unione Province Italiane, il ravennate Michele de Pascale che avverte della necessità di avere ben chiara dal governo una road map appena dopo il voto, per non rischiare di arrivare alla fine della legislatura senza riuscire a dar corso alla riforma. 

Una prospettiva quella del ritorno al voto diretto per presidente e altri organi delle Province che, per molti versi, può incrociare in Piemonte già la campagna elettorale per le regionali. Non tanto come tema, vista la cautela osservata da più parti politiche in attesa di capire i tempi dell’entrata in vigore, quanto come opportunità per più di un candidato al consiglio regionale che, magari senza troppe speranze di arrivare a Palazzo Lascaris, può incominciare a scaldare i motori e approfittare del palcoscenico regionale proprio in vista delle elezioni per la sua Provincia.

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