GRANA PADANA

Salvini si prepara all'assedio, Lega tra purghe e congresso

Il Capitano alza una cortina fumogena per allontanare il rischio di essere cacciato dopo la débâcle europea. Espulsioni per chi non è in linea. Oggi la kermesse dell'Internazionale nera mentre Zaia inaugura mostre in Veneto. Molinari in asse con Calderoli sull'Autonomia

È durato più della fantozziana Corazzata Kotiomkin, l’altra sera, il consiglio federale della Lega convocato meno di ventiquattr’ore prima. E quando Matteo Salvini ha annunciato per il prossimo autunno il congresso del partito nella testa di chi ormai gli crede fino a un certo punto e lo conosce bene, è frullata la celebre frase del ragionier Ugo. Parole in libertà, un po’ di fumo, per dirla con il garbo usato nel racconto a più voci del dopo. E l’assenza di un’ufficializzazione, con tanto di data certa, sembra confermare questa interpretazione.

Assai più netti altri annunci del segretario che ormai ha ben chiaro il rischio per il suo ruolo, che occupa da dieci anni, a fronte di un probabile cocente insuccesso al voto europeo. Come Fregoli, nella serata nella Sala Salvadori della Camera veste i panni della vittima e un istante dopo quelli del potenziale carnefice. “Se la Lega non mi vuole, non devo fare il segretario per forza. In autunno facciamo il congresso”. Poi, “il segretario deve essere supportato da tutti e tutti i governatori devono candidarsi”, perché come ripeterà più di un suo pretoriano, l’aspirante avatar Andrea Crippa in testa, “avremo il comitato di disciplina in seduta permanente”, pronto a espellere “chi parla a sproposito coi giornali”, chi non segue la linea. Che al momento resta quella del segretario anche se i mal di pancia, specie nel Nord, ormai sono coliche insopportabili.

Altro che questione Vannacci, fosse solo la candidatura del generale a far bollire la pentola a pressione. Salvini l’ha spostata avanti e quando sarà il momento se l’ex comandante del Col Moschin finirà in lista si vedranno i fuochi d’artificio, ma non basta nascondere il basco amaranto per rendere meno tesa la lunga serata che prelude, dopo le europee, alla notte dei lunghi coltelli. 

Oggi è il giorno della kermesse sovranista europea, l’adunata dell’estrema destra europea cui Salvini non ammette diserzioni da parte dei suoi, anche se ci saranno, non poche ed eclatanti. “Piantala lì di farti vedere coi nazisti” gli avrebbe detto Luca Zaia che oggi sarà impegnato nel suo Veneto a inaugurare due mostre. Non avesse avuto impegni, il Doge avrebbe passato la giornata a rivedersi le imitazioni di Crozza, piuttosto che scendere a Roma in quel consesso dove Salvini lo vorrebbe infilare, insistendo sulla sua candidatura in Europa, spalleggiato dai pretoriani. Tra questi pure il ligure Edoardo Rixi che contravvenendo al detto genovese sciuscà e sciurbì nu se po’ (soffiare e sorbire nello stesso tempo non si può) ha ribadito la necessità del Doge a Bruxelles, ma ha aggiunto pure che nel partito ci sono cose da mettere a posto e figure che attorno al segretario sarebbero da valutare, specie se vanno in televisione. Citofonare Crippa.

Per Zaia, ma un biglietto destinazione Strasburgo anche per il non meno recalcitrante Massimiliano Fedriga. A spingere per candidare il governatore del Friuli-Venezia Giulia, l’altra sera, non a caso il segretario regionale Marco Dreosto notoriamente non un convinto sostenitore di Fedriga. E se quest’ultimo, il governatore leghista più amato da Giorgia Meloni, insieme a Zaia e Riccardo Molinari è nel novero dei potenziali successori di Salvini nel caso la débâcle europea concretizzasse profezie, timori e pure non pochi auspici, è proprio il capogruppo alla Camera deviando dallo scivoloso argomento delle candidature, a riavvolgere il nastro facendo ascoltare al segretario ciò che non pare essere proprio musica per le sue orecchie. “Qui c’è chi sostiene che l’autonomia non è importante”, l’esordio di un Molinari con lo spartito condiviso con Roberto Calderoli, ma anche con il suo omologo del Senato Massimiliano Romeo. “La gente non ci vota per l’autonomia. Ci vota se siamo contro Ursula von der Leyen”, la tesi di un fedelissimo del Capo come l’europarlamentare Marco Zanni. Non riporterà la Lega al 34 per cento, ma “l’autonomia galvanizza i militanti che devono fare campagna elettorale” e poi, per Molinari “c’è un tema politico.

Dei tre pilastri che avevamo alle ultime elezioni, la sicurezza, le pensioni e l’autonomia”, sulle pensioni non s’è portato a casa nulla, la sicurezza non ha la stessa percezioni che si aveva quando c’era Salvini al Viminale, “l’unica cosa su cui possiamo puntare, che non è né della Meloni, né di Forza Italia, è proprio l’autonomia”. Approvare la legge prima del voto, spinge Calderoli e quel Nord che da Est con Zaia e Fedriga a Ovest, con Molinari, ne fa l’obiettivo irrinunciabile. Non certo al Sud, dove il partito figlio del non fortunato sbarco salviniano, invece frena. Come non mostra affatto di accelerare lo stesso segretario, “prima o dopo il voto la porteremo a casa” la promessa del Capitano, senza troppo trasporto. Ma dietro la creatura legislativa di Calderoli, il Piave per Zaia soglia di Gorizia per Fedriga, c’è quel significato identitario che Molinari rimarca nel consiglio federale dove aleggiano avvertimenti e purghe. Non è ancora un Gran Consiglio, ma luglio arriva dopo il voto di giugno. E prima dell’annunciato congresso di novembre. 

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