PALAZZI ROMANI

Rimpasto di governo dopo le europee. Pichetto e Zangrillo ministri a rischio

Non pochi i dicasteri che cambieranno titolare. Meloni prepara un rimaneggiamento della squadra entro l'estate. In rampa di lancio la coppia azzurra piemontese, oltre alla Santanchè. Probabile commissario Ue Fitto, ma tra le ipotesi anche Giorgetti e Urso

Dopo le europee il Governo non sarà più lo stesso. Lungi dall’essere un semplice modo di dire per rappresentare gli effetti che il voto potrà avere su ciascuna forza politica del centrodestra, la frase che circola sempre più assertivamente dalle parti di Palazzo Chigi e pure nei due rami del Parlamento, prefigura ciò che Giorgia Meloni ha in mente. La premier, ormai, non fa più mistero con i suoi dell’intenzione di procedere con un rimpasto, presumibilmente entro l’estate. 

Pare che abbia anche sondato con debito anticipo il Colle da cui sarebbe arrivata una altrettanto preventiva indicazione, ovvero la necessità di un passaggio in Parlamento con voto di fiducia, come quando accade che non ci si limiti a sostituire un singolo ministro che rassegna le dimissioni. E non è certo questo il caso. Si parla, infatti, di ben più di uno o di due dicasteri destinati a cambiare guida, sia pure per ragioni diverse.

Come pressoché tutti i suoi predecessori, anche Meloni non ha seguito le regola di James Bond, mai dire mai. “Un rimpasto? Mai”, aveva ribadito ancora lo scorso novembre, ospite di Bruno Vespa. “Voglio battere un altro record: finire la legislatura con lo stesso governo con cui l’ho iniziata. Sarebbe la prima volta nella storia repubblicana”. Una storia che, invece, insegna proprio come sia difficile se non impossibile incominciare e finire (magari anzitempo) una legislatura con la stessa formazione.

A sostenere la tesi del rimaneggiamento della composizione dell’esecutivo è più di un motivo. Il primo riguarda proprio l’Europa e l’intenzione, sempre meno celata, della premier di mandare uno degli attuali ministri a ricoprire il ruolo di commissario. Il vetta al borsino permane Raffaele Fitto, l’alto ufficiale di collegamento della premier (ancora prima che arrivasse a Palazzo Chigi) e l’Europa. Nel caso in cui una partenza per Bruxelles di Fitto potesse provocare problemi alla gestione dell’attuazione del Pnrr, le opzioni potrebbero riguardare l’attuale titolare del Mef Giancarlo Giorgetti, il più draghiano dei ministri anche dopo la fine del Governo di Mario Draghi, così come un fedelissimo di Giorgia qual è Adolfo Urso, che lascerebbe il ministero delle imprese e del Made in Italy, dove certo non mancano tavoli e dossier aperti e altri ne arriveranno. 

Ben altre e più imbarazzanti ragioni spingerebbero fuori dal ministero del Turismo Daniela Santanchè, la cui presenza nel Governo ormai sembra tollerata sempre più a fatica dalla stessa premier, anche se la ministra non mostra la minima intenzione di lasciare, forte dello storico appoggio del partito milanese e in particolare del presidente del Senato Ignazio La Russa. Vicende giudiziarie che si accumulano e si accavallano, ma che non paiono sviarla dalla sua linea e dal suo ruolo nel Governo, come nel partito se è vero che non avrebbe neppure tralasciato di chiedere un posto per suo fratello nel listino blindato per le regionali piemontesi. In caso di rimpasto, tuttavia, sarebbe impossibile non vederla lasciare il ministero, dovendo mutare da Open in Closed Meraviglia il non fortunato slogan turistico. Pur avendo trascorso la sua vita imprenditoriale e politica lontano dalla natìa Cuneo, quando giuro nelle mani di Sergio Mattarella, la destra piemontese s’affrettò rimarcare il successo di quella presenza, unita a quella di altri due ministri della stessa terra. Mai tripudio campanilistico fu destinato a finire prima del tempo e suonare beffardo, come facilmente accadrà dopo il voto europeo. 

Sulla rampa di lancio, pronti a uscire dall’orbita di Palazzo Chigi non appena Meloni completerà il conto alla rovescia, ci sono infatti altri due ministri piemontesi, entrambi di Forza Italia, uno il successore dell’altro nella guida del partito regionale. Fratello del medico personale di Silvio Berlusconi e da ciò la sua rapidissima carriera politica, sempre saltando qualsiasi competizione che ne valutasse, con le preferenze, il peso, Paolo Zangrillo per chi non rinuncia a mescolare verità e sarcasmo è al posto giusto, la Pubblica Amministrazione, se si prende a modello uno dei tanti uffici pubblici dove si fa poco, o nulla. E si tira avanti, fin quando non arriva il momento delle verifiche. Certo, per accompagnarlo all’uscio Meloni dovrà chiedere il via libera a Atonio Tajani, il quale forse non avrà del tutto scordato quando Zangrillo era tra i più fieri alleati e sostenitori dell’allora zarina Licia Ronzulli. Non proprio il massimo delle referenze agli occhi del vicepremier-segretario. Il quale non è detto gonfi il petto di fronte alla Meloni per difendere l’altro piemontese, quel Gilberto Pichetto Fratin che all’Ambiente non ha mai trovato il suo.

Fosse stata solo l’espressione di chi ha visto un marziano, disegnatagli sul volto quando a Bruxelles i giornalisti gli rivolsero domande in inglese, per lui assimilabile all’aramaico. Le lacrime di compartecipazione con la giovane in preda all’ecoansia, pare siano le stesse di chi ha dovuto arrendersi a ripetute sortite improvvide dell’ex omino coi baffi, come lo chiamavano in Piemonte dove da assessore regionale non aveva per nulla sfigurato, anzi. Il clima romano, l’aria del potere, devono avergli giocato un brutto tiro, tant’è che ancora l’altro giorno nel pieno della questione Stellantis Mirafiori se n’è uscito con l’idea del nucleare per il futuro dello stabilimento torinese.

Due casi al cui confronto, sono quisquilie i rimpiazzi dei sottosegretari dimissionari Vittorio Sgarbi e, ancora dal Piemonte, Augusta Montaruli, uscita appena dopo essere entrata dal dicastero dell’Università, per via della condanna per la rimborsopoli regionale. Ma la poltrona, anch’essa non poco traballante, su cui si concentrerà la maggiore attenzione quando arriverà il momento del rimpasto non potrà che essere quella della Giustizia. Mai non troppo in sintonia con la premier e, soprattutto, assai meno rapido e incisivo rispetto a proclami e aspettative, Carlo Nordio è tra coloro che potrebbero passare al mano, a meno di un deciso e repentino cambio di passo a partire dalla riforma nella parte che riguarda la separazione delle carriere dei magistrati.

In tutto questo e attorno resta la questione dei pesi dei singoli alleati all’interno della coalizione che scaturiranno dal voto europeo. Nulla cambierà sul proposito meloniano di alcuni cambi nella formazione di governo, mentre a mutare potrebbero essere proprio gli equilibri. Primo tra tutti quello tra Lega e Forza Italia, nel caso in cui il sorpasso del partito di Tajani su quello di Salvini preconizzato da più di un sondaggio, dovesse trovare conferma nel voto.

print_icon