POLVERE DI (5) STELLE

M5s come Paganini, non (si) ripete. Mai un bis per i sindaci grillini

Travolti dalle inchieste, disarcionati dalle loro stesse maggioranze o bocciati dagli elettori. Salvo rarissime eccezioni, i primi cittadini pentastellati non arrivano al secondo mandato. Roma, Torino, Livorno. E ora i casi recenti di Campobasso e Caltanissetta

I casi più recenti sono quelli di Campobasso e Caltanissetta, quelli più eclatanti Roma e Torino. Una costante sembra manifestarsi a ogni tornata amministrativa: i sindaci del Movimento 5 stelle raramente riescono a ottenere un secondo mandato. È stato il 2016 l’anno della svolta, quello in cui per la prima volta, i seguaci di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio conquistano due capoluoghi di regione. Una, la capitale d’Italia, presa da Virginia Raggi: “Il vento è cambiato” esultava la prima cittadina in conferenza stampa. Contemporaneamente, nella prima capitale del Regno Chiara Appendino abbatteva a spallate l’icona della sinistra italiana, quel Piero Fassino che fu l’ultimo segretario della Quercia. Alla luce degli eventi si è trattato di un fuoco di paglia: cinque anni dopo Raggi si è classificata addirittura quarta, alle spalle di Enrico Michetti (centrodestra), Roberto Gualtieri (centrosinistra) e Carlo Calenda (Azione), ottenendo solo il 19,1% al primo turno e rimanendo dunque fuori dal ballottaggio. Appendino è più furba, decide di non ricandidarsi, fiaccata anche da tre indagini: per la tragedia di piazza San Carlo, dov’è stata recentemente ritenuta colpevole anche dalla Cassazione, per il reato di falso in atto pubblico (poi assolta in appello) e nel cosiddetto “processo smog” tutt’ora in corso. Epilogo simile toccato a Filippo Nogarin, primo cittadino di Livorno dal 2014 al 2019, due inchieste sulle spalle e la decisione di non ripresentarsi dopo che l’ultimo report sul gradimento dei sindaci lo aveva collocato al 94° posto. Da quel momento però il M5s non l’ha abbandonato: nel 2020 viene nominato da Raggi a Roma come consulente al Bilancio all’interno della giunta, nel marzo 2021 (governo Conte) diventa amministratore delegato di Metropark, gruppo Ferrovie dello Stato, e infine nell’agosto 2022 viene inserito come dirigente d’azienda in Trenitalia.

Tanto per restare in Piemonte un altro sindaco pentastellato come Roberto Falcone – recentemente scomparso – viene disarcionato dalla sua stessa maggioranza prima ancora che finisca il mandato a Venaria Reale, il Comune della Reggia, antica residenza Savoia, che conta oltre 30mila abitanti. A San Mauro Torinese Marco Bongiovanni, dopo essere stato eletto nel 2016, arriva quarto su quattro alle elezioni del 2021. I suoi concittadini hanno deciso che un lustro fosse più che sufficiente. Unica eccezione, nell’area metropolitana torinese, è rappresentata da Luca Salvai, rieletto nella sua Pinerolo dopo aver rischiato di mancare il ballottaggio. Dal Piemonte alla Lombardia, la musica non cambia: Francesco Sartini, eletto nel 2016 a Vimercate, provincia di Monza e Brianza, un lustro più tardi prova ad allargare i confini della sua coalizione politica, abbraccia un progetto civico più ampio, ma resta comunque fuori dal ballottaggio. A Chioggia, in Veneto, il sindaco Alessandro Ferro prima vince le elezioni poi viene indagato, perde la sua maggioranza e alla fine non si ricandida. Sempre nel 2016 Paola Massidda festeggia a Carbonia (Sardegna) la caduta di una storica roccaforte della sinistra. Lei è sindaca per cinque anni ma nel 2021 non si ricandida.

A Nettuno, popoloso centro nell’hinterland di Roma, uno dei casi più eclatanti con il sindaco Angelo Casto che viene eletto nel 2016 e buttato giù dalla sua stessa maggioranza meno di due anni più tardi. Altro che secondo mandato, qui non si arriva neanche alla metà del primo. Nel 2017 ad Acqui Terme (Alessandria) vince Lorenzo Lucchini, cinque anni più tardi si ricandida senza il M5s alle spalle ma perde comunque.

Una classe dirigente raffazzonata, la mancanza di una rete sul territorio da mobilitare o forse più banalmente i conti con la realtà che chi va al potere deve sempre fare. Passano gli anni ma il risultano non cambia. È passato un decennio dal primo sindaco pentastellato eletto in un capoluogo di provincia: era Federico Pizzarotti, che nel 2012 conquistò Parma urlando forte il suo no all’inceneritore. Venne riconfermato cinque anni più tardi quando quel No era diventato un Sì e lui aveva abbandonato la sua vecchia casa.

E veniamo ai giorni nostri. A Caltanissetta, che ieri è andata al centrodestra, il sindaco uscente del M5s Roberto Gambino non è neanche riuscito a raggiungere il ballottaggio, inchiodato al 28% al primo turno. A Campobasso, capoluogo del Molise, la successione al pentastellato Roberto Gravina è stata “gestita”: l’ex sindaco, infatti, è decaduto alla fine dello scorso anno dopo essere stato eletto consigliere regionale, ma la città non è rimasta ai Cinquestelle: l’alleanza con Pd e Avs ha prodotto infatti la candidatura dell’ex provveditore agli studi Marialuisa Forte, sindaco da poche ore.

print_icon