SACRO & PROFANO

Repole, luna di miele agli sgoccioli

L'arcivescovo di Torino appare stanco e provato dal governo della diocesi dove si registra una diffusa sfiducia. A dispetto del pensiero "umile" (debole) piuttosto refrattario al confronto. L'irenismo di Enzo Bianchi e lo svarione su frère Roger Schutz

Ma vuoi vedere che l’arcivescovo di Torino Repole – che dice a tutti di non chiamarlo eccellenza, monsignore o don, ma soltanto Roberto – non regge il governo della diocesi? Il suo saggio pubblicato su Vita e Pensiero ripreso più volte in varie conferenze in giro per l’Italia e rilanciato da Vito Mancuso, ha dato a molti l’impressione che si tratti della “summa” del pensiero “boariniano”, anche se è davvero troppo onore parlarne in tali termini. Meglio sarebbe parlare semplicemente della visione incerta della realtà e della dottrina, propria dell’antico rettore Sergio Boarino e dei suoi discepoli. Incertezza paragonabile solo alla sua difficoltà comunicativa e il cui “supporto intellettuale” pare fosse dato dal compianto don Franco Ardusso – nato tradizionale, poi progressista a fasi alterne e infine morto devoto – che aveva (e questo pochi lo sanno) come suo sodale e referente romano niente di meno che il coetaneo e compagno di studi arcivescovo monsignor Carlo Maria Viganò, attualmente scomunicato.

Oggi, il pensiero umile – leggi “debole” –  di Repole e la scelta di circondarsi unicamente di amici, senza tenere in alcun conto le differenti sensibilità del clero della diocesi, sta presentando il conto e i nodi iniziano a venire al pettine ed è curioso osservare come i “boariniani”, che furono all’opposizione di ben tre arcivescovi, adesso pretendano un’obbedienza quasi cieca, pronta e assoluta. Proprio loro, che ai tempi l’obbedienza la discutevano e la contrattavano, mal sopportano adesso i dinieghi, anche quelli di coloro sulla cui acquiescenza contavano. L’arcivescovo appare stanco e disorientato, al punto che qualcuno lo ha visto prendere la via di Vercelli, ove pontifica e dispensa unguenti la Virgo plus quam potens. L’onnipresente monsignor Mauro Rivella è sempre più nervoso, perché anche la sua strategia, quella di “partire dagli obbedienti”, cioè da coloro che accolgono le decisioni non condivise senza porre ostacoli, pare non stia dando i frutti sperati. I numeri oggi dicono che il governo è andato in minoranza e la luna di miele – quando mai ci sia stata – è finita, ingenerando una diffusa sfiducia.

In politica, non resterebbero che due opzioni: un rimpasto o le dimissioni. Ma nel mondo ecclesiastico ideologizzato del post-Concilio, si andrà avanti senza tenere conto della realtà, fino a quando essa si imporrà con tutta la sua drammatica durezza, suggerendo soluzioni non dettate da sensibilità o gusti personali, ma dall’azione dello Spirito Santo, oggi il grande assente anche nelle discussioni ecclesiali. Forse, se l’arcivescovo fosse meglio consigliato dai suoi collaboratori potrebbe evitare qualche gita a Vercelli e avrebbe più tempo per scrivere i suoi discorsi senza giovarsi di una suora ghost-writer. Purtroppo, i suoi collaboratori sono molto concentrati su sé stessi, alcuni a studiare in Canada – dove la Chiesa sta agonizzando – altri in vacanza in Estremo Oriente e quindi distratti da ben altro. Sarebbe un vero peccato se l’arcivescovo ecclesiologo, fallisse proprio nella sola cosa che gli è chiesta: il saggio, prudente, moderato, paterno, apostolico e cattolico governo del gregge a lui affidato.

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Lunedì scorso Enzo Bianchi, commemorando Paolo Ricca, ha elevato un appassionato inno all’irenismo, come unica prospettiva per la Chiesa cattolica chiamata da lui ad abbattere i muri e cioè a farla finita con i dogmi, per far sì che tutti si sentano dei «cristiani in divenire», così come, secondo lui, lo fu frère Roger Schutz, priore di Taizé, «che mai si convertì al cattolicesimo come molti desideravano, e non rinnegò la sua origine riformata, ma si sentiva appartenente a una comunione cristiana più estesa».

L’8 aprile 2005 si svolsero a Roma in piazza S. Pietro le esequie solenni di S. Giovanni Paolo II e frère Roger vi partecipò in quello che fu il suo ultimo viaggio fuori di Taizè e una foto fece il giro del mondo: frére Roger, su una sedia a rotelle riceve, fra lo stupore di molti, la Santa Comunione dalle mani del cardinale Joseph Ratzinger. Dopo la cerimonia, il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, interrogò il cardinale Walter Kasper per sapere perché frère Roger aveva ricevuto pubblicamente la Santa Comunione. La risposta del porporato, certo non imputabile di tradizionalismo, fu: «Egli è formalmente cattolico». In molti si sorpresero e allora il direttore della sala stampa della Santa Sede, Joaquin Navarro-Valls – attendibile e sempre prudente – emise un comunicato, soppesato parola per parola, che vale la pena oggi riprendere perché non è mai stato integralmente citato.

1. L’ammissione alla Santa comunione di frère Roger Schutz non era prevista; un concorso di circostanze ha fatto sì che il priore di Taizé si trovasse davanti al celebrante, il cardinale Ratzinger, nel gruppo di quelli che aspettavano di ricevere la Santa Eucaristia. In tale situazione non è stato possibile negargli il Santo Sacramento, anche perché la sua fede cattolica è ben nota;

2. Nel monastero di Taizé l’intercomunione, alla quale frère Roger si è chiaramente opposto, non è praticata. Ai non cattolici non viene dato il Santo Sacramento. Frère Roger Schutz condivide pienamente la fede della Chiesa cattolica nella Santa Eucaristia. Il suo è un caso particolare che non può essere generalizzato.

Pochi mesi dopo, durante la preghiera pubblica serale, frère Roger fu aggredito e ucciso da una squilibrata, che gli si era avvicinata con un coltello. Il rito funebre, alla presenza di migliaia di persone, fu celebrato dal cardinale Kasper e fu una Messa cattolica, anche se a turno ministri delle confessioni riformate proclamarono le letture, mentre i pastori protestanti furono pregati di non comunicarsi. Il suo corpo fu inumato accanto a frère Max Thurian (1921-1996), teologo calvinista, co-fondatore e vice-priore di Taizé, che qualche anno prima aveva aderito alla Chiesa cattolica e nel 1987 fu ordinato sacerdote.

Tutto attesta dunque che, con buona pace di Enzo Bianchi, a differenza del pastore Ricca, frère Roger ha aderito alla fede eucaristica della Chiesa cattolica, e, dunque, è morto da cattolico; infatti è esattamente la fede eucaristica a marcare la differenza tra cristiani e cattolici.

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