RETROSCENA

Cirio da opossum a camaleonte tra Autonomia e Ius scholae

Stretto tra i diktat della Lega che spinge per l'attuazione della legge Calderoli e la linea fredda di Tajani. Appoggio a Zaia (giubilato in anticipo dal segretario azzurro)? Partenza a razzo sulla questione della cittadinanza, spiazzato dalla frenata del vicepremier

L’opossum dovrà riuscire a farsi camaleonte. La consumata strategia dell’astuto marsupiale nell’aggirare il pericolo fingendosi morto, da tempo abilmente adottata dal non meno astuto governatore del Piemonte difficilmente potrà bastare di fronte a una serie di questioni che già pongono in evidenza le difficoltà, per Alberto Cirio, di coniugare senza problemi il ruolo di presidente di Regione e quello di vicesegretario nazionale di Forza Italia.

Più del drapò, lo storico vessillo subalpino, sono le bandiere di Fratelli d’Italia e, ancor più, della Lega a dover garrire in armonia con quella del partito del presidente. E ci vuol poco a capire come la faccenda non sia semplice, così come ampiamente prevedibile il rischio di inciampi nel tenere un piede in due scarpe, sia pure entrambe di pregio. Lo scoglio più grande che l’abile navigatore di bolina si trova a vedere anche senza binocolo è il tema dei temi che unisce, divide e aggroviglia la politica dei partiti con il futuro delle stesse Regioni, quell’autonomia rafforzata diventata legge con il nome del suo padre Roberto Calderoli e pronta a essere impugnata dai detrattori nel nome di un’unità nazionale posta in pericolo e – questo è il punto – poco o nulla effettivamente caldeggiata nel centrodestra appena si sconfina dal perimetro leghista.

Appena ieri l’altro, Matteo Salvini, anche per recuperare terreno in quell’ampia fetta di partito sbuffante per l’agenda riempita dalle gesta del generale Roberto Vannacci e scarna di temi identitari, ha colto l’occasione di un incontro pubblico a Pinzolo per rimettere in vetta l’autonomia, prevedendo per ottobre il primo tavolo tra il Governo e quelle regioni che hanno già chiesto di procedere con l’applicazione della legge Calderoli, sia pure limitatamente alle materie per cui non sono previsti i Lep, i tanto discussi livelli essenziali di prestazioni. E quelle Regioni sono Lombardia, Veneto, Liguria e il Piemonte di Cirio. Il quale da governatore appena riconfermato ha più che lestamente scritto la lettera a Palazzo Chigi chiedendo ciò che per l’alleato leghista è irrinunciabile, ma nient’affatto altrettanto per il suo partito sempre più guardingo e gelido rispetto a dar corso al testo Calderoli.

“Noi di Forza Italia abbiamo detto che prima si fanno i Lep in tutte le regioni, poi si fa l'Autonomia”. Parole chiare quelle di Antonio Tajani nel ragionamento che il segretario di Forza Italia fa quella questione, precisando come "nessuno ha mai detto che vogliamo un referendum abrogativo, ma vigileremo sull'applicazione dell'autonomia differenziata. Il che non significa certo che non la vogliamo”. Ci sarebbe di che per evocare il convento di Santa Dorotea, ma il linguaggio pur se con rimembranze da Prima Repubblica, lascia poco spazio a provvidenziali interpretazioni. In quel “noi di Forza Italia” Cirio dove sta? Nella linea del suo partito che frena e subordina ai Lep l’avvio della corsa verso l’autonomia, oppure in quella imboccata forse troppo rapidamente con la lettera a Palazzo Chigi, francobollo fornito dal segretario regionale nonché capogruppo a Montecitorio Riccardo Molinari, per tramite del suo assessore (all’Autonomia, ça va sans dire), il fedelissimo Enrico Bussalino

Di francobolli Molinari ne ha fatto scorta e un altro lo ha pronto per un’altra missiva del governatore, quella che, insieme al capogruppo a Palazzo Lascaris Fabrizio Ricca, ha chiesto senza preamboli a Cirio di scrivere alla Corte Costituzionale per unirsi al suo collega veneto Luca Zaia  nell’opposizione al ricorso presentato da Puglia, Sardegna e Toscana contro la legge Calderoli. Lo stesso Zaia che, però, riceve un avviso di sfratto a futura memoria nientedimeno che proprio da Tajani. Il numero uno di Forza Italia a Verona ha annunciato che il candidato alla guida del Veneto sarà l’ex leghista, da tempo azzurro, Flavio Tosi. E indicando l’ex sindaco veronese, Tajani ha di fatto risolto a suo modo la questione del quarto mandato cui il Doge non intende rinunciare, non senza irritare i meloniani che hanno pronto l’ex senatore Andrea De Carlo. Dunque il vice di colui che ha giubilato in anticipo Zaia, dovrebbe affiancare lo stesso governatore del Veneto per sostenere una causa che Forza Italia affiderebbe a un praticante senza troppe speranze. I garbugli da azzeccare a Cirio, insomma, non mancano. 

Del resto non può essere sorpreso dall’incombente dicotomia tra i due ruoli entrambi perseguiti e, con indubbie doti e capacità, conquistati. E pure legati più di quanti si potrebbe supporre. Il secondo mandato da presidente non sarà replicabile e, quindi, la prospettiva politica e più precisamente parlamentare per il politico albese la si costruisce decisamente meglio da una posizione di rilievo (e destinata ad assumerne ulteriormente) come quella di vice-leader. Sia pure in coabitazione con l’altro governatore Roberto Occhiuto, fronte duro dalla Calabria contro l’autonomia, tanto per restare in tema. La stessa manifestata condivisione delle esternazioni di Marina Berlusconi sui diritti non possono che confermare una sintonia di Cirio con la famiglia del fondatore e neppure escludere che nella villa di Portofino di Piersilvio come nelle residenze della primogenita non torni ad aleggiare quel profumo di tartufo che annunciava l’arrivo del politico piemontese ad Arcore. “La famiglia Berlusconi può dare consigli, ma non detta la linea” ha sostenuto, non si sa con quanto credito, Tajani prima di ingranare la retromarcia spiegando che lo Ius Scholae non è la priorità dell’autunno e io non do aut aut”. 

Svanito l’improbabile scenario di una maggioranza anomala sulla questione della cittadinanza agli immigrati, svanite le speranze del Pd di avere Forza Italia al suo fianco, tutto di nuovo nei ranghi. Anche se, pure su questa corsa in avanti del vicepremier azzurro, il suo vice nel partito non aveva titubato un istante per sostenere la sortita del segretario. “Integrare gli stranieri regolari è fondamentale. E la scuola è il percorso corretto per farlo”, le parole spese prima di partire per il Giappone, avvertendo la sinistra che “se pensa di poter mettere in crisi il governo su questo tema si sbaglia. Non esiste maggioranza alternativa: nessun inciucio”. Appena il tempo di salire sull’aereo e lo ius scholae era già fuori dai radar, cancellato dal vicepremier, sotto le armi controllore di volo della Nato.

Oggettivamente difficile, per il governatore piemontese, tenere il passo. Per di più con un piede in due scarpe. Ma il nostro non è nuovo a stupire anche di fronte a situazioni oggettivamente complicate come quella di governare una Regione, non meno una coalizione agguerrita, e al contempo rivestire un ruolo al vertice del partito. L’importante è che l’opossum, se dovesse farsi camaleonte, non finga d’essere morto scordandosi di adattare la pelle alla situazione. 

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