SANITÀ

Medici di famiglia (e di gruppo). Riforma a macchia di leopardo

Dal primo gennaio dovranno entrare in funzione le Aft in grado di coprire le esigenze dei pazienti per l'intera giornata 7 giorni su 7. Ma la carenza di professionisti e la loro distribuzione sul territorio consentirà l'avvio del sistema solo per il 60% del territorio piemontese

Medici di famiglia (ri)uniti, ma non troppo. Il Piemonte è stata la prima regione a sottoscrivere l’accordo integrativo con i sindacati sulle Aft, le aggregazioni funzionali territoriali, ma questo non basterà a vedere dall’inizio del prossimo anno tutto il territorio coperto da questo servizio destinato a cambiare non poco il ruolo del medico di famiglia e il suo rapporto con i pazienti. A pochi giorni dall’imminente ulteriore incontro tra i vertici della sanità e i sindacati dei camici bianchi per passare alla fase operativa dell’accordo siglato lo scorso maggio, la prospettiva più realistica che emerge dai dati, in particolare al numero dei medici di medicina generale e la loro distribuzione nell’intera regione, individua attorno al 60 per cento del territorio l’attuazione del nuovo sistema.

Sarà, dunque, poco più della metà del Piemonte a poter fruire dai primi giorni del gennaio 2025 di un servizio che dopo un decennio di gestazione dall’introduzione attraverso una legge dello Stato, sembra finalmente destinato a passare dalle parole, sia pure scritte in una norma, ai fatti. E i fatti, in sostanza, si possono riassumere in gruppi di medici di famiglia, non più su base volontari bensì obbligatori, ciascuno a copertura di una porzione di territorio e un determinato numero di abitanti che potranno contare su una copertura oraria decisamente più ampia, sostanzialmente per tutto l’arco della giornata escluso quello in cui alle chiamate dei pazienti risponde la guardia medica. Non solo, le Aft oltre ad aggregare obbligatoriamente i medici di famiglia, agiranno anche per quelli che svolgono il servizio di guardia con il risultato di garantire il servizio ai cittadini continuativamente nell’arco delle 24 ore sette giorni su sette.

Questo, però, non potrà succedere, almeno nella fase iniziale, in tutto il Piemonte. Ancora una volta per mancanza di medici, senza togliere l’ulteriore problema che deriva dalla loro diversa  distribuzione sul territorio. I medici di famiglia in Piemonte sono decisamente insufficienti rispetto alla popolazione, gli ultimi dati riferiscono di 2.800 professionisti a fronte di una necessità minima di 3.400. Se poi si aggiunge che non sono pochi i casi in cui a fronte della mancanza di medici in alcune aree periferiche e disagiate, come molti paesi di montagna, non sono rari i casi di dottori che in città come Torino e altri centri con un buon numero di abitanti non raggiungano il numero massimo di assistiti, ma rifiutano l’idea di trasferirsi laddove il medico non c’è e lo stipendio sarebbe anche maggiore.

Un tema questo per cui è difficile intravvedere una soluzione a breve termine e che non potrà che incidere sull’avvio del nuovo sistema, sul quale gli stessi sindacati hanno dibattuto tra loro non poco prima di arrivare alla firma dell’accordo di maggio. In verità le posizioni differenti, tra le varie sigle, resistono anche dopo quella firma che, non a caso, il segretario regionale dello SmiAntonio Barillà (protagonista della trattativa con i suoi omologhi di FimmgRoberto Venesia e dello Snami Mauro Grosso Ciponte) definisce “una pre intesa”. Ed è proprio Barillà a ricordare come “la riorganizzazione dell’assistenza territoriale attraverso la costituzione delle Aft è un problema di estrema serietà non solo perché tale modello organizzativo è stato deliberato dal governo più di 10 anni fa all’epoca del ministro Renato Balduzzi, quando le condizioni occupazionali nella medicina generale non destavano particolari preoccupazioni, ma anche perché – prosegue il segretario dello Smi – tale modello organizzativo prevede come condizione la garanzia della continuità assistenziale 24 ore al giorno per 7 giorni la settimana”.

Per Barillà, “è condizione necessaria sapere prima quanti sono i medici di medicina generale e valutare se tale organico consente di poter avviare un processo di organizzazione senza creare ulteriori disagi assistenziali ai cittadini e costringere i medici ad impegni lavorativi ulteriori”. Una risposta alle forti perplessità del sindacalista, arriva indirettamente proprio da quello scenario che nel grattacielo della Regione si prospetta con la copertura parziale del territorio con il nuovo sistema. “Senza garanzie, per noi, non si cambierà nulla”, avverte Barillà aprendo un nuovo fronte sul cambiamento del ruolo e dell’organizzazione dei medici di famiglia. A poco più di tre mesi dalla data fissata per l’avvio delle Aft la strada si presenta ancora in salita e un Piemonte a macchia di leopardo rispetto al servizio destinato a fornire risposte e assistenza per tutto l’arco della giornata ai pazienti appare, oggi, il rischio minore. 

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