L'educazione contro il disagio giovanile

Maxi rissa a Trastevere, nel cuore di Roma; due ricoverati a Milano per la movida violenta nei Navigli; baby gang all’opera con le mazze da baseball al Vomero a Napoli; quattro ragazzi accoltellati a Genova, uno ridotto in fin di vita. Purtroppo, non una sola regione italiana sfugge a questa esplosione di violenza giovanile, violenza apparentemente senza senso, senza una specifica motivazione. Sui media vengono fornite diverse spiegazioni sull’inasprirsi (percepito oggi) del fenomeno “movida violenta”: il lockdown, l’alcool, la droga. Sembra che i ragazzi italiani siano stati colpiti dal trauma causato dal lungo lockdown e, quando finalmente sono usciti di casa, liberi, hanno sfogato con la violenza le frustrazioni maturate durante la “prigionia” da Covid-19; ma la “movida violenta” esiste da anni, risale a molto prima della pandemia, lo sanno bene i residenti delle zone più battute, vittime del caos e prigionieri di quanto accade, puntualmente, ogni fine settimana. Qualcuno attribuisce la responsabilità di questa violenza all’eccessivo uso di alcool o di droga da parte dei giovani, ma l’uso di bevande alcoliche e di stupefacenti non è di sicuro una novità di questi ultimi anni, basta pensare a quanto succedeva negli anni 60/70/80.

Nonostante le molteplici denunce e analisi sociologiche del fenomeno, nessuno, finora, è stato in grado di dare spiegazioni efficaci. Se poi si cerca di quantificare il problema, troviamo una classifica di città attrattive per la vita notturna (movida) dove, guarda caso, nessuna località italiana compare. Per curiosità le prime dieci città europee sono: Barcellona (Spagna), Amsterdam (Olanda), Berlino (Germania), Budapest (Ungheria), Ibiza (Spagna), Madrid (Spagna), Londra (Inghilterra), Parigi (Francia), Praga (Repubblica Ceca), Isola di Mikonos (Grecia). Se poi si dà uno sguardo all’Italia, le prime dieci località sono: Milano, Firenze, Roma, Venezia, il Salento, la Riviera Romagnola, Iesolo, la Riviera del Corallo in Sardegna, Ischia e la Costa degli Dei in Calabria. Torino non è neanche in classifica!

Io penso che la violenza giovanile debba, innanzi tutto, essere prevenuta con una massiccia dose di educazione e di cultura a partire dalla famiglia per arrivare alla scuola. Ad alimentare la “violenza” contribuisce, ogni giorno, il linguaggio che viene usato nei rapporti personali, nelle discussioni pubbliche, nei programmi televisivi e nelle serate tra amici. La violenza è diventata uno stile di vita quotidiano e il muro che separa quella verbale da quella fisica è fragile, così come fragili ed appannate sono le autorità dello Stato che hanno la responsabilità di “proteggere” i giovani dalla deriva verso la violenza. Nelle scuole, solo per fare un esempio, gli insegnanti non vengono più rispettati non solo dai ragazzi, ma ancor prima dai loro genitori sempre pronti ad aggredirli accusandoli degli scadenti risultati scolastici dei figli: ai genitori sembra importare solo la promozione per trascorrere ferie tranquille e non il livello di apprendimento dei propri figli.

Invece di nasconderci dietro le rassicuranti giustificazioni del coronavirus, delle bevande alcoliche e dell’eccessivo uso di stupefacenti, degne di un talk-show, non sarebbe più efficace scendere nelle strade della “movida” mescolandosi ai ragazzi per verificare con che cosa si divertono, di che cosa parlano e che cosa consumano? Perché cerchiamo il divertimento notturno solo quando andiamo in vacanza nelle più grandi città europee e snobbiamo le passeggiate notturne di casa nostra? Non è un modo per separarci dai nostri figli ancora di più di quanto già l’età o lo stato di genitore fanno? Certo l’alcol, la droga e le armi hanno una importante rilevanza nella “movida violenta”, ma solo al pari di come il numero di auto ha rilevanza sugli incidenti stradali, sui feriti e sui morti, e in questo caso la soluzione del problema è forse il divieto alla circolazione delle auto?

print_icon