Storia e falsi miti

Riflettere sul passato è un processo indispensabile per minimizzare il ripetersi degli errori e al contempo massimizzare il ripercorrere esperienze positive. Questo vale tanto per la singola persona quanto per la Storia di un popolo. Nella penisola italica, dall’Impero Romano sino ai giorni nostri, si sono verificati cambiamenti socio-culturali di enorme portata.

Il cambiamento più rilevante, per la nostra attuale condizione di popolo italiano, è la nascita dell’Italia nel 1861. Prima il territorio era organizzato in vari regni, tra cui il Regno di Sardegna, il Regno delle due Sicilie, lo Stato Pontificio. Il processo di unificazione fu attivato dalla borghesia e dall’aristocrazia liberale e moderata del Regno di Sardegna il cui rappresentante, Camillo Benso conte di Cavour, nel 1852, in forza del “Connubio”, accordo stipulato con Urbano Rattazzi, capo del centrosinistra, riuscì, su incarico del re Vittorio Emanuele II, a formare il suo primo governo. Lo storytelling nazionale, che si basa soprattutto sulla componente emotiva, ci ha sempre dipinto l’impresa dell’Unità d’Italia come l’azione eroica dei Savoia, di Cavour e di Garibaldi.

C’è da chiedersi come mai, se è vero che l’Italia è stata costituita attraverso un ampio consenso della popolazione della penisola, ancora oggi sia un paese significativamente diviso. Come mai nel 2011, mentre a Torino fervevano i preparativi per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, in altre “contrade” alcuni storici e filosofi, come Massimo Cacciari, contestavano il mito del Risorgimento e dell’Unità d’Italia dichiarandola un’imposizione dei Savoia, e di Cavour in primis, ottenuta non con il consenso dei cittadini meridionali ma con la forza delle armi?

Lo storico saggista Francesco Mario Agnoli sottolinea che il Risorgimento è un falso mito dietro il quale si nascondono violenze inaudite. Per esempio, la distruzione di alcuni villaggi beneventani, come Pontelandolfo e Casalduni, da parte delle truppe di Enrico Cialdini. A questo proposito Agnoli cita la testimonianza di un bersagliere valtellinese: «Entrammo nel paese, subito cominciammo a fucilare preti e uomini, quanti capitava, indi i soldati saccheggiavano e infine abbiamo dato l’incendio al paese, abitato da circa 4500 persone». Lo stesso Garibaldi in una lettera del 1868 scrisse: «… gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Ho la coscienza di non aver fatto del male, nonostante ciò, non rifarei la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato odio». D’obbligo anche la citazione di Antonio Gramsci: «Lo Stato italiano (fu) una dittatura feroce che mise a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi contadini poveri, che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti».

Insomma, per Agnoli gli errori del processo risorgimentale «sono stati pervicacemente nascosti, ricoperti da una pesante retorica e da luoghi comuni storiografici». Venerdì 23 dicembre 2016 il consigliere Andrea Santoro, del partito/movimento “Napoli Capitale”, presentò al Consiglio comunale di Napoli la proposta che intendeva inviare al sindaco Luigi de Magistris affinché venissero rimossi dal salone centrale della Camera di Commercio di Napoli i busti marmorei del Conte Camillo Benso, primo presidente del Consiglio dell'Italia Unita, e di Enrico Cialdini, generale del Regno d'Italia che fu protagonista della guerra al brigantaggio nel Sud Italia culminata nei massacri di Pontelandolfo e Casalduni. Assicura Santoro «L'Unità d'Italia è un valore acquisito che nessuno mette in discussione ma vorremmo si parlasse di come le regioni del Sud allora siano state penalizzate e, ancora oggi, se c'è un divario tra Nord e Sud, è soprattutto perché quel tipo di annessione penalizzò enormemente il Mezzogiorno». All’agenzia di stampa Adnkronos Santoro spiega: «… se è vero che la storia è scritta dai vincitori, a distanza di tanti anni è ormai arrivato il momento di ripristinare un minimo di verità storica. Quello che fece il Regno sabaudo piemontese fu un'invasione militare del Regno delle Due Sicilie, e per giunta personaggi come Cialdini si macchiarono di veri e propri crimini verso le popolazioni, con paesi rasi al suolo e atrocità inenarrabili. È giusto parlare di questi fenomeni che sono accaduti e sono stati cancellati dalla storiografia ufficiale ed è giusto anche che ci siano segnali forti». Ecco perché «la rimozione dei busti di Cavour e Cialdini da un luogo così prestigioso sarebbe un segnale importante». Magari ricollocandoli «in qualche museo dove si potrà raccontare la storia com'è realmente andata. Nessuno ne chiede la distruzione, ma lasciarli lì non è più consentito e tollerabile».

Come disse Cicerone “Historia magistra vitae”. È certamente importante ricordare la Storia dell’Italia e del suo processo di unificazione ma, affinché ciò non sia solo un mero esercizio emotivo-intellettuale ma sia uno stimolo a migliorare la qualità della vita del nostro Paese, è indispensabile abbandonare l’affabulazione e studiare la Storia nei fatti concreti attraverso le ragioni sia dei vincitori sia dei vinti. È giusto riconoscere i meriti di chi ha contribuito alla nascita della nostra nazione ma è altrettanto doveroso riconoscerne gli errori sapendo che una cosa giusta non ne pareggia una sbagliata. In questo modo, attraverso il processo circolare delle analisi, delle tesi e delle antitesi, si potranno formulare sintesi sempre più corrette.

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