VERSO IL VOTO

Partita aperta in Piemonte: decisivi delusi M5s e incerti

Duello all'ultima preferenza tra Cirio e Chiamparino. Il governatore uscente ha recuperato ampiamente il distacco iniziale e ora punta a convincere gli indecisi e quanti temono un salto nel buio

Solitario y final, ma tutt’altro che triste. Quello che potrebbe far comparire il sorriso del vincente sul volto di Sergio Chiamparino, alla fine di una traversata del deserto tutta in salita, è un voto che non potrebbe certo arrivargli dalla coalizione che più di tanto contro un centrodestra, pur con qualche segno di defaillance rispetto all’avvio, non può fare. Quel voto, lo sa bene il presidente uscente e a ciò ha conformato sempre più il suo messaggio agli elettori, se lo deve guadagnare lui. È il voto di chi sulla scheda non traccerà alcun segno in corrispondenza dei simboli, tantomeno esprimerà una preferenza. Come abbiamo già avuto modo di ricordare, in ogni elezione quella di chi sceglie solo il nome del candidato presidente è una fetta di elettorato che sta attorno ai 300mila piemontesi con alcuni picchi in alto, come peraltro molto lascia prevedere accadrà in questa occasione.

Ad avvantaggiarsene, con quel valore aggiunto dato da una coalizione di centrodestra più forte rispetto a quella che sostiene Chiamparino, potrebbe essere ovviamente anche Alberto Cirio, per il quale è proprio il confronto diretto tra avversari, quel voto solitario all’aspirante governatore, a rappresentare un’incognita peraltro indicata da più di un sondaggio quando era ancora possibile renderli noti.

Oggi, all’ultimo giorno di una campagna elettorale che ben difficilmente sul proscenio nazionale osserverà un ormai per molti versi anacronistico silenzio pre-voto, quelle forchette che non si erano toccate per settimane sembrano tintinnare più che durante una cena al Cambio. Il sogno irrealizzabile di vederle sovrapposte, guardando ai soli due competitor, secondo più di un occhiuto osservatore potrebbe non essere poi così lontano dal realizzarsi.

Ben diverso il quadro delle rispettive coalizioni: qui il rapporto di forza non pare essere mutato più di tanto, anche se l’effetto calo che pervade il partito di Matteo Salvini a livello nazionale, non lascerebbe indenne la consultazione regionale con l’aleggiare del terribile spettro (per il Carroccio) di scendere sotto la soglia di guardia del 30% e con l’azionista di minoranza azzurro che l’indiscutibile effetto di un Silvio Berlusconi tornato in gran spolvero su tutte le reti televisive potrebbe agevolmente avvicinare a una doppia cifra, lontana fino a qualche tempo fa.

L’incognita, sempre sul fronte dei partiti, più che i Fratelli d’Italia più o meno saldamente al di sopra della soglia di ingresso al Parlamento Europeo, ma senza segnali di ulteriori exploit nella regione dove hanno mostrato i muscoli con la Lega al momento della spartizione dei posti nel listino e attuato una campagna acquisti nel notabilato forzista forse più che nell’elettorato, riguarda piuttosto il divario che potrà esserci tra un Pd ancora in cerca di una solida identità e di un futuro e un M5s che, soprattutto, a Torino dovrà misurare il peso tra il desiderio di dare una “lezione” all’alleato di governo e il giudizio sui quasi tre anni di governo cittadino.

Attenti alle sorprese, mai come in questa occasione l’elettorato è volatile: avverte il sondaggista Nando Pagnoncelli, ponendo l’attenzione su un fenomeno che nello scenario del Piemonte al voto può pesare non poco sull’elettorato dei Cinquestelle. Non quello dei militanti, dei meetup, degli eletti, bensì il voto di chi il M5s lo ha votato per varie ragioni e per altrettanto varie ragioni può fluidamente orientare la sua scelta altrove. E qui, ma non di meno nel grande partito degli indecisi e dei potenziali astenuti, che un candidato con la coalizione più debole, com’è Chiamparino, cerca di pescare un consenso che non può che essere personale. Il dopo, che in caso di vittoria potrebbe contemplare anche un’assenza di una maggioranza (pur portando a Palazzo Lascaris i dieci del listino), è appunto un dopo. Adesso, per i due candidati ma soprattutto per il presidente uscente, è il momento di mettere sul tavolo degli elettori, anche i più inappetenti, l’offerta personale più allettante. Tra un tintinnar di forchette.

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