Se il razzismo è "popolare"

Il giocatore della Turchia, Merih Demiral, esulta in seguito al gol inflitto all’Austria nel corso degli ottavi di finale dell’Europa League. Corre verso la curva dei tifosi, suoi compatrioti, e innalza le braccia facendo con le dita il segno del lupo, ossia il gesto di riconoscimento del gruppo nazionalista turco denominato “Lupi Grigi”. 

Qualche giorno prima in Italia, a Roma nel quartiere di Torpignattara, un gruppetto di bimbi di origine indiana, ben integrati nella comunità, giocano a pallone in strada, ma la loro gioia è bruscamente interrotta da alcuni minori italiani, i quali, dichiarandosi apertamente razzisti, gli sottraggono la palla iniziando a passarsela tra di loro. I ragazzini, vittime dell’atto di bullismo, li lasciano fare sinché giunge il tempo di andare a cena. Alla richiesta di restituzione di quanto tolto ricevono per risposta “Negri di merda, tornate a casa ma senza pallone”, e poi ancora “Noi siamo razzisti”. Intervengono così i genitori dell’uno e dell’altra gruppo; si scatena una rissa in cui rimangono feriti tre uomini, genitori delle vittime dell’aggressione, di cui uno in modo grave alla gola. 

Due episodi apparentemente slegati l’uno dall’altro, eppure uniti da un filo rosso, anzi nero. Nazionalismo e razzismo sono figli della stessa cultura, fatta di chiusura e odio verso l’altro: cultura che sta lentamente egemonizzando una buona parte delle masse popolari europee, e non solo. Il nazionalismo, soprattutto, fornisce anche ottime giustificazioni all’opinione pubblica per avviare guerre, procurando profitti all’industria delle armi, e al contempo distrarre l’attenzione popolare da temi sicuramente più importanti (occupazione, sanità, welfare, istruzione).

La salita al potere di leader che sono espressione dei movimenti politici di estrema destra legittima di fatto i sentimenti di intolleranza razzista all’interno le classi europee più disagiate. Legittimazione rafforzata dall’assenza di una qualsiasi parola di condanna espressa dai governi sciovinisti nei confronti di coloro che danno vita a comportamenti marcatamente xenofobi, come nella vicenda avvenuta nel quartiere romano. Le istituzioni “democratiche” tollerano inoltre la propaganda a favore delle aggregazioni filonaziste, girando la testa altrove quando vengono esposte pubblicamente svastiche e croci celtiche.

Gli atteggiamenti razzisti di fatto sono ammessi dalle istituzioni (a volte ne fanno addirittura l’apologia). Probabilmente è questa consapevolezza che ha convinto i francesi a votare, compresi tutti coloro che nelle ultime tornate elettorali hanno rinunciato ad esercitare tale diritto, e a sostenere in particolare Melenchon. Atto di grande resistenza, più che desistenza, che ora Macron sembra intenzionato ad annullare impedendo alla sinistra di accedere alle leve di potere: ennesimo grave errore, oltre a dimostrazione di slealtà, che favorisce l’ascesa della Le Pen.

L’atteggiamento politico delle forze centriste del Continente, da Macron a Draghi, oltre ad essere di vitale sostegno alle lobby dell’industria bellica è privo di un qualsiasi sguardo a lungo periodo. Il campo visivo della maggioranza dei premier europei è davvero limitato, al punto di non mettere a fuoco due metri oltre il proprio naso. L’avanzata delle destre nazionaliste non è solo merito dei loro dirigenti, ma è in primis favorita dalle attuali élite liberiste (sempre pronte a obbedire alle banche e ai centri di poteri di finanza e speculazione economica).

Ad ogni modo il popolo francese è riuscito ancora una volta a impedire la nomina di un esecutivo targato Le Pen, scegliendo di sostenere il Fronte Popolare: colpo di scena inimitabile in Italia a causa della totale debolezza di una sinistra senza idee e senza guida.  

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