Sicurezza e caporalato, mettere al lavoro un pool 

Perché a ogni infortunio mortale si levano voci scandalizzate, scattano inchieste e fiumi d’inchiostro finiscono sulle pagine dei giornali, quando la realtà è sotto i nostri occhi e non si interviene preventivamente? Fa sorridere, se non fosse una tragedia continua, l’ennesima dichiarazione ministeriale sull’aumento degli ispettori. Gli ispettori del lavoro servono ma non è la strada principale per ridurre gli infortuni e i morti sul lavoro.

Agire sui fondamentali della sicurezza non è compito dell’ispettorato ma spetta alla politica. Una strada lunga, difficile, partendo dal presupposto che lavorare in sicurezza è un investimento per le imprese. Intanto si dovrebbe considerare il settore di chi produce mezzi di sicurezza come un settore merceologico a sé stante e diffondere l’idea che se un imprenditore investe il suo denaro in un’azienda antinfortunistica ne trarrà giovamento. Abbiamo casi interessanti anche in Piemonte come la Sparco.

Spesso l’infortunio è un mix di disattenzione, violazione dei sistemi di sicurezza anche coercitiva, cioè imposta dal datore al lavoratore, non rispetto delle norme. Ma capita anche che sia il lavoratore a non rispettare le regole per agire più liberamente fidandosi delle sue capacità.

La cultura del lavoro è un fondamentale politico, però oggi non riusciamo a dare risposte che non siano stereotipate. Perché non si vogliono considerare tutti i fattori. Troppa sicurezza nelle proprie capacità porta ad agire con conseguenze tragiche come ipotizzo per l’agricoltore stritolato nel carro miscelatore. Al corso per il patentino per usare il trattore sentivo l’agricoltore anziano lamentarsi perché ogni volta che si alza dal sedile il suo trattore si spegneva e stava studiando come disattivarlo. Il sindacato dovrebbe valorizzare di più, nella contrattazione nazionale e aziendale, il tema sicurezza fino a farlo diventare insieme a produttività, qualità, redditività un parametro con cui erogare volume salariale.

I morti sul lavoro sono di più laddove il sindacato non è presente in modo costante come sui cantieri di lavoro. Aumentano nei trasporti, con il diffondersi della logistica e le consegne a domicilio delle vendite online, e continuano in agricoltura dove da anni si attende l’entrata in vigore delle legge sulla revisione delle macchine agricole perennemente rinviata per evitare di inimicarsi blocchi elettorali e le associazioni degli agricoltori che hanno, su questo, un atteggiamento non chiaro, sollecitando la legge ma mettendo infiniti paletti. Eppure in agricoltura la maggior parte delle morti sono date da ribaltamenti di trattori obsoleti e anche il terribile albero cardanico svolge la sua micidiale funzione; eppure quanti agricoltori si lamentano delle misure tecniche di sicurezza. Spesso poi l’infortunio, più o meno grave, viaggia assieme al lavoro nero. Perché anche su questo non si interviene?

È possibile che nell’Agro Pontino come in Campania o in Puglia e nello stesso Piemonte non si sappia dov’è il lavoro nero di massa? Quando negli ultimi anni le forze dell’ordine nelle Langhe e nell’Astigiano hanno avviato sistematici controlli sulle cooperative agricole i risultati si sono visti. Significa presidiare il territorio con la partecipazione di vari attori sociali, dal sindacato ai parroci, dai sindaci alle associazioni che si occupano di migranti. I campi dove si raccolgono frutta e verdura non si possono spostare, come neanche le vigne. Basta presidiarli con azione preventiva, coordinata, coinvolgendo gli attori sociali. Non è un problema di più ispettori, non si può attendere l’ispettore.

Esiste la paura? Certo che sì, anche chi delinque con il lavoro nero e il caporalato frequenta il territorio: lo trovi al supermercato, alla messa la domenica, al campo da calcio. Dà lavoro a tuo figlio che farà un lavoro migliore del migrante in nero ma sa che ci lavora a fianco e quindi si ingenera, a volte, anche un silenzio complice. Cosa dice tutto questo? Che il caporalato abbinato al lavoro nero, a salari da fame, alle pessime condizioni di lavoro, all’omertà – che può essere per debolezza o paura nel denunciare, oppure silente e conveniente complicità – sono da considerarsi alla stregua di un sistema mafioso. E va perseguito con gli stessi mezzi.

Allora si applichi il metodo Falcone-Borsellino abbinato al metodo Dalla Chiesa. Coordinamento delle forze dell’ordine, pool di magistrati dedicati alla specifica illegalità, presenza sul territorio, incrocio dei dati, seguire i soldi, agevolare e proteggere chi denuncia anche se è un migrante irregolare o un lavoratore in nero dandogli l’opportunità di uscire dal suo limbo con la regolarizzazione. Siamo di fronte a un flagello e morti ripetute seguite dal coro di commenti sempre uguale, usciamo da questo schema con  misure eccezionali ma in realtà normali e già sperimentate. Non farlo significa restare sgomenti di fronte al morto di oggi ma ipocritamente immobili verso quello di domani.

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