PAPEETELLUM

Referendum, toccherà ai piemontesi pagare la cambiale di Cirio a Salvini

Passata l'euforia del voto in Consiglio, per il governatore Cirio arrivano le prime grane. La bestia nera delle leggi elettorali Besostri le sintetizza in una lettera: dovete finanziare la campagna altrimenti si profila una responsabilità politica ed erariale

Passata la festa del centrodestra per l’approvazione della richiesta di referendum sulla legge elettorale ad essere gabbati potrebbero essere i piemontesi chiamati a mettere mano al portafogli anche se i (loro) soldi uscirebbero dalle casse della Regione. A spiegare che c’è un risvolto assai concreto nella battaglia cui Matteo Salvini ha chiamato le Regioni del Nord - richiamo al quale ha forse fin troppo rapidamente risposto il governatore Alberto Cirio pur a fronte delle frenate del leader del suo partito, Silvio Berlusconi - è un osso duro delle questioni referendarie: di ricorsi l’avvocato Felice Besostri ne ha vinti parecchi e parecchie sono state le volte che i suoi rilievi hanno avuto ragione.

Adesso è lui mettere una nidiata di pulci nelle orecchie di chi quel referendum lo ha chiesto perché lo aveva imposto il leader della Lega, ma anche di coloro che sul fronte opposto potrebbero incominciare a a far riflettere in maniera molto convincente Cirio su quel suo appiattirsi sulle posizioni del partito di Salvini. “Non conosco nel dettaglio tutte le vostre delibere di approvazione del quesito referendario, ma solo quella della regione Liguria, ma presumo che anche voi non abbiate considerato che l'approvazione di un quesito non esaurisce l'impegno assunto”, afferma Besostri in una lettera a Cirio e ai suoi omologhi di Abruzzo, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Sardegna e Veneto. Le otto regioni, spiega l’avvocato “costituiranno un Comitato promotore referendario, il cui compito, come nei referendum promossi con la raccolta di 500mila firme di elettori, è quello di farlo approvare dalla maggioranza assoluta dei partecipanti al voto. Per i Comitati promotori di referendum abrogativi di iniziativa popolare è previsto un rimborso di 500mila euro se riescono a raccogliere le firme”.

Ebbene, “come intendete voi finanziare la campagna referendaria?” domanda il mastino delle consultazioni popolari. “Se non ci metteste nemmeno un euro, significherebbe che avete approvato il quesito per fare un favore a terzi soggetti, nel caso specifico un partito politico: non c'era il tempo materiale per raccogliere le firme e depositarle entro il 30 settembre”. Per Besostri, e questo è il punto più inquietante, “si configura un rischio di responsabilità politica ed erariale, di cui dovreste preoccuparvi”. Insomma chi pagherebbe nel caso, non improbabile, non arrivasse il rimborso? Chi anticiperà quei soldi?

Ai governatori il legale dice chiaro e tondo: “Se non siete impegnati nel successo del referendum non si capisce perché abbiate dedicato tempo alla questione di una diversa legge elettorale, in concreto quale sia l'interesse delle vostre comunità ad un tale referendum”. Al contrario, “se siete convinti che un sistema maggioritario, basato su collegi uninominali a turno unico, sia il migliore sistema elettorale per quale ragione non avete messo in cantiere una riforma della vostra legge elettorale?”. Già, perché? Si aspetta l’ordine del Capitano. E nell’attesa magari capire chi paga.  

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