TRAVAGLI DEMOCRATICI

Torino 2021, tregua armata nel Pd

In direzione si fronteggiano due schieramenti a colpi di documenti. Sullo sfondo il rapporto con il M5s ma anche più di una ruggine personale. Finisce con un armistizio, ma presto o tardi arriverà la resa dei conti

La direzione del Pd, prevista ieri alle 18, inizia con quasi un’ora di ritardo. Sin dal pomeriggio, nel quartier generale di via Masserano, il sentore che la riunione dell’esecutivo provinciale possa trasformarsi in una resa dei conti inizia a montare. Alle 16 i maggiorenti dell’area che fa riferimento direttamente a Nicola Zingaretti s’incontrano per mettere a punto un documento, evidentemente alternativo alla relazione del segretario Mimmo Carretta, nonostante gli sforzi di quest’ultimo di mettere nero su bianco un intervento il meno possibile divisivo.

Inutile negarlo, nel Pd oggi convivono due visioni differenti rispetto all’atteggiamento che il partito dovrà tenere nei confronti del Movimento 5 stelle alle prossime elezioni di Torino nel 2021. Da una parte il segretario Carretta, espressione dell’area che fa riferimento al senatore Mauro Laus (tanto forte quanto isolato) sostiene la necessità di intraprendere un percorso volto ad allargare il centrosinistra partendo proprio dal fallimento del 2016, quando la città scelse Chiara Appendino; dall’altra l’ala sinistra del partito (d'intesa con la componente cattolica degli ex renziani) non esclude di inserire Torino in una logica nazionale che prevede l’alleanza strutturale tra le due forze, nell’ottica di un nuovo fronte progressista che ricalchi (e puntelli) l’alleanza del governo giallorosso. Un dibattito che però ieri è rimasto sullo sfondo. La relazione di Carretta non si spinge oltre un “giudizio negativo” sull’amministrazione pentastellata, che diventa anche il punto di partenza del documento solo apparentemente alternativo presentato da un fronte composito che va dall’ala sinistra capitana dai parlamentari Anna Rossomando, Andrea Giorgis e dal vicepresidente della Sala Rossa Enzo Lavolta fino ai deputati ex Margherita Davide Gariglio e Stefano Lepri (a proposito, i due sono tornati amici). Un fronte cui si sono aggiunti anche i fassiniani Giancarlo Quagliotti, e Raffaele Gallo che nella segreteria Carretta è responsabile Enti Locali, ma che non ha ancora perdonato a Laus di aver sostenuto Daniele Valle e non lui alle ultime regionali. 

La relazione del segretario e il documento "alternativo" sono in più punti sovrapponibili, per questo l’iniziativa degli zingarettiani di ogni area e corrente pare più che altro un esercizio muscolare volto a rivendicare un mutato rapporto di forza in seno al partito, più che un vero e proprio atto di dissenso politico. Si chiede una maggior collegialità nelle scelte, a partire dall'organizzazione della Festa dell'Unità, anticipata per l'occasione a cavallo tra giugno e luglio. Ma non si va oltre.

Non sfugge a nessuno che un centrosinistra alternativo ai grillini potrebbe avere in Stefano Lo Russo, l’attuale capogruppo in Sala Rossa e primo oppositore di Appendino, uno dei candidati in pectore per la poltrona al piano nobile di Palazzo Civico. E chissà se quel riferimento alla “vera empatia” che dovrebbe avere il candidato sindaco del centrosinistra, inserito nel documento promosso da Giorgis e Rossomando, non sia rivolto proprio alla spigolosità dello stesso Lo Russo. Con quelli empatici, replica lui nel suo intervento “siamo stati asfaltati alle scorse regionali”. Una frecciatina per palati fini rivolta a chi se non all’ex governatore Sergio Chiamparino? Altro sostenitore di una Torino giallorossa, magari guidata dal rettore del Politecnico Guido Saracco. Siamo alle scaramucce a fronte di uno scenario ancora molto confuso in cui le variabili sono tante a partire dalla tenuta dell’attuale governo.

Alla fine, come al termine di una lunga giornata di esercitazioni militari, nessuno dei generali dà l’ordine di affondare il colpo. Finisce con una generica approvazione della relazione di Carretta e del documento solo formalmente alternativo. A scongelare il clima ci aveva pensato Laus annunciando l’intenzione di voler sottoscrivere anche lui il dispositivo degli zingarettiani, il modo migliore per disinnescare quella pistola puntata proprio contro di lui. Intanto in sala dopo due ore di interventi i componenti della direzione rimasti sono una quindicina su cinquanta. I soldati dei vari schieramenti sono già rincasati.

Quel che è emerso con evidenza, però, è che presto o tardi sul rapporto con i Cinquestelle il Pd potrebbe andare incontro a una nuova fase di scomposizione e ricomposizione delle varie anime. Ieri, per esempio, mentre Quagliotti e Gallo, esponenti di quel che resta dei fassiniani, hanno voltato le spalle a Carretta, l’ex segretario Fabrizio Morri che pure ha sempre frequentato quei lidi, è intervenuto in dissenso da loro. Così come insofferente appare anche Paola Bragantini, coordinatrice della segreteria regionale del partito: lei continua a vedere il M5s come fumo negli occhi mentre il suo segretario Paolo Furia rilascia dichiarazioni contraddittorie e i suoi principali sponsor romani – Giorgis, Rossomando e Lepri – sono pronti a dare il via libera a una eventuale intesa.

I nodi, presto o tardi, verranno al pettine. Nessuno ha interesse a consumare a breve la resa dei conti. Prima ci sono gli Stati generali del Movimento 5 stelle e la possibile incoronazione di Appendino come nuovo capo politico, poi le regionali, mentre resta da capire come il governo andrà avanti. A un anno e mezzo di distanza ogni scenario è ancora possibile.

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