RISIKO BANCARIO

Ops Intesa, la resa di Genta

I motivi dietro il voltafaccia della Fondazione Crc a Massiah e il via libera all'offerta di Messina. Cuneo perde la sua centralità mentre la classe politica si occupa delle fiere del marrone e del tartufo

Fuori dalla trincea. La Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, che si era fortemente opposta all’Ops (Offerta pubblica di acquisto) di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca, con particolare impegno del presidente Giandomenico Genta, e si era posta alla testa di una cordata di investitori istituzionali contrari all’operazione, com’è noto ha fatto una repentina retromarcia. Un dietrofront per certi versi sorprendente anche se non del tutto imprevedibile. Una giravolta che ha lasciato con il cerino in mano l’amministratore delegato Victor Massiah, che si era speso temerariamente per resistere, convinto di essere supportato da Genta, e ora abbandonato al suo destino.

Secondo alcuni insider, dietro le motivazioni “nobili” dell’originaria opposizione di Cuneo – le condizioni previste inizialmente “non valorizzavano appieno la forza e le potenzialità della banca conferitaria” – si celavano questioni ben più prosaiche: con il successo dell’operazione, infatti, i cacicchi locali inevitabilmente perdono il potere di nominare amministratori nella futura governance (citofonare a Ferruccio Dardanello, sinora membro del consiglio di amministrazione e del Comitato nomine di Ubi, praticamente per investimento divino). Una capitolazione di fronte alla realpolitik? Probabile, così come non è da escludere che siano state garantite future rendite a qualcuno, magari in grado di incrementare qualche dichiarazione dei redditi.

Ma guardiamo alla sostanza. Se l’Ops andrà in porto sarà stato un grande fallimento per la Fondazione CrC, a partire da quegli aspetti che ne giustificavano la contrarietà. Persino chi è innamorato delle banche locali (e noi non siamo tra questi) non può non rilevare che l’operazione di integrazione priverà il territorio di una realtà bancaria. Persino i numeri sbandierati da Genta come medaglie appuntate al petto, se letti nel contesto, vanno ridimensionati. “L’apporto monetario aggiuntivo si quantifica, per Fondazione Crc, in circa 40 milioni di euro di capitale: questa cifra (0,57 euro per azione) sommata al prezzo di mercato raggiunto dal titolo Ubi porta la Fondazione a effettuare un’operazione positiva rispetto ai valori contabili di carico”, afferma Genta. Tali motivazioni lasciano molti dubbi e sono tutt’altro che convincenti. Per una Fondazione che vanta circa 1,5 miliardi di euro di patrimonio e una partecipazione importante (5,91%) in una banca che dispone di un patrimonio di 10 miliardi di euro e verrebbe acquistata per poco più di 4 miliardi non è propriamente un colpaccio. Inoltre, per quanto riguarda le ricadute reali sull'occupazione in provincia di Cuneo, altro tema che che avrebbe convinto Genta a cambiare idea, le cose si vedranno (e misureranno) solo successivamente.

In ultimo, affermare, come ha fatto Genta in un’intervista recente, che “vi sarà un nostro pieno coinvolgimento nelle scelte fondamentali” pare a dir poco velleitario. Forse gli sfugge che su scala nazionale tutti i parametri (partecipazione, Pil, abitanti) rappresentano meno dell’1% della nuova realtà.

Sembra un caso, ma esistono tante analogie tra quanto accaduto alla Fondazione Crc e alla Fondazione Crt. Anche la Cassa di Risparmio di Torino disponeva di una consistente partecipazione in Unicredit, che si è drasticamente ridotta. Entrambi i presidenti, uniti notoriamente da costanti legami, hanno condiviso e condividono la passione (e gli incarichi) per il mondo delle autostrade. Presidente del collegio sindacale di Autostrade il numero uno di Crc, mentre Giovanni Quaglia, già per lungo tempo presidente della Torino-Savona, è tornato ai vertici anche della famigerata Asti-Cuneo. Entrambi hanno investito parecchi denari delle rispettive fondazioni, patrimonio della collettività: 50 milioni quella cuneese, quasi una trentina la torinese. Non pare che queste vicende abbiano avuto risultati esaltanti. Anzi, le perdite sono state piuttosto consistenti.

La politica cuneese (e regionale) si è mostrata finora piuttosto indifferente alla questione, che pure non è proprio marginale per l’economia del territorio. In queste settimane l’interesse dei politici e degli amministratori si è concentrato a Cuneo sulla cancellazione della Fiera del Marrone, ad Alba sulla conferma della Fiera del Tartufo, in generale ci si è accapigliati sulle kermesse musicali estive. Ognuno ha la classe dirigente che vota e che si merita, e a noi è dato vivere in questi tempi.

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