E' CADUTA UNA STELLA

"Alimentate troppe aspettative,
ora prendere di petto la realtà"

La scelta "obbligata" e strategica di Appendino: un passo di lato per favorire intese elettorali con il Pd. Le domande inevase e frustrate di cambiamento e la nuova mappa socio-politica di Torino. Fuorviante la dicotomia centro-periferia. Parla il sociologo Cepernich

“C’è un’evidente coincidenza tra quanto detto, domenica, da Luigi Di Maio sulla necessità di cercare accordi con il Pd per le amministrative della prossima primavera e l’annuncio fatto neppure quarantott’ore dopo dalla sindaca. Appendino ha tolto un grosso ostacolo sulla strada dell’alleanza e per questo incasserà un credito”. Cristopher Cepernich, studioso dei media e dei sistemi politici, insegna sociologia della comunicazione all’Università di Torino e dirige l’Osservatorio sulla comunicazione politica e pubblica dell’Ateneo.

Dunque quello fatto da Chiara Appendino con l’annuncio della rinuncia a ricandidarsi non è un passo indietro, ma di lato. Come si fa quando la salita toglie il fiato, raggiungere la vetta è impossibile, ma se si lascia sgombro il sentiero stretto chi ha fretta te ne sarà riconoscente. Professore, è questa la lettura della decisione della sindaca?
“Credo che non avesse altra scelta, ma ha colto l’occasione per fare una mossa intelligente e strategica. Se si pensa che dal 2018 il M5s è in difficoltà a Torino, non è ipotizzabile una sintonia con la cittadinanza e quindi la possibilità di vittoria. La decisione era obbligata, ma ecco che domenica Di Maio dice che si devono cercare accordi con il Pd per le amministrative e lei non fa passare neppure due giorni e lascia il campo libero”.

Una parabola rapidamente discendente quella di Appendino. Dalle ali di folla che avevano accompagnato il suo arrivo a Palazzo di Città alle proteste diffuse e alla delusione di chi l’aveva votata il passaggio è stato rapido, forse non immaginato neppure così dagli avversari. Limiti nell’azione di governo o troppe promesse fatte e poi non mantenute, o tutt’e due le cose?
“Nel 2016 la campagna elettorale di Appendino e dei Cinquestelle ha cavalcato un clima generale di cambiamento e ha incontrato facilmente un’onda che li ha spinti. Va osservato che sempre di più le campagne elettorali tendono ad alzare in maniera eccessiva le aspettative dell’elettorato non tenendo conto della distinzione che c’è tra annunciare, promettere e poi governare. Una differenza estremamente significativa. Credo che la sindaca abbia compreso che governare presenta una complessità di cui quando ci si propone agli elettori non si tiene conto. Le difficoltà del governare le trovano tutti, in questo caso c’era anche l’inesperienza. Avevano promesso un radicale cambiamento che poi non c’è stato. E la delusione di chi ci aveva creduto non ci ha messo molto ad emergere”.

E una crisi economica da affrontare, uno sviluppo da progettare.
“Certamente, anche se ritengo che la crisi di Torino non sia politica, ma la politica vi si innesta con la sua debolezza”.

Professore, i tanti delusi da quelle aspettative alzate da Appendino e dai Cinquestelle oltre la soglia di guardia nel 2016, con gli attacchi a quel Sistema Torino i cui protagonisti diventeranno poi interlocutori privilegiati, dove guardano adesso?
“Allora, soprattutto quello delle periferie, fu un voto di reazione a una serie di frustrazioni di aspettative. Oggi i dati delle recenti consultazioni elettorali indicano, da Barriera di Milano a Mirafiori Sud, un progressivo spostamento verso le offerte della Lega di un elettorato che cerca continuamente risposte e tende ad essere orientato verso una forza politica che, come nel 2016 hanno fatto i Cinquestelle, alza le aspettative. Il centro resta sempre più decisamente orientato al centrosinistra, come gran parte della periferia Sud. Ma attenzione, non ci si deve limitare alla dicotomia centro-periferia”.

Scusi, ma è su questa divisione che da cinque anni si dibatte e la politica discute. Lei dice che è un’altra pianta della città quella che si deve guardare per le prossime elezioni?
“È così. C’è tutta la corona dei quartieri da Vanchiglia a Mirafiori Nord che cinge il centro. Una parte di città che non si può definire né centro, né periferia ed è il reale punto di interesse della narrazione della prossima campagna elettorale. Lì si giocherà il primo turno, lì si orienteranno i voti per l’eventuale ballottaggio. Continuare a concentrare l’attenzione sulla dicotomia centro-periferia sarebbe distraente”.

Appendino sgombra la strada a Di Maio per un’eventuale alleanza, che il Pd locale continua a respingere. Hanno buoni motivi i dem torinesi per rifiutarla?   
“Per quale ragione un partito o una coalizione che avrebbe il vantaggio di partire da una posizione che non porta il peso del giudizio di cinque anni di governo della città dovrebbe cucire un’alleanza con un partito che invece del quinquennio trascorso a Palazzo civico paga uno scotto? Quale sarebbe il vantaggio?”.

Magari rafforzare l’alleanza di governo e renderla più strutturale, come del resto vuole Di Maio e una buona parte dei vertici nazionali del Pd?
“Faccio fatica a capire in che modo il Governo potrebbe essere rafforzato da alleanze locali. Il Pci era all’opposizione, ma governava Regioni e Comuni”.

E poi c’è il centrodestra che stavolta, più di altre, sembra davvero voler giocare la partita per vincere. Quanto è temibile per il centrosinistra?”.
“Se agisce con tempestività e una buona scelta del candidato si può muovere in un contesto di contendibilità”.

Nel caso di una coalizione, o anche di un accordo non proprio palesato tra Pd e Cinquestelle la figura del candidato dovrà per forza essere quella di un civico?
“Questo non lo so. Credo che le primarie siano lo strumento per dare forza a un candidato. Quello di un civico sarebbe il costo che dovrebbe pagare la coalizione”.

Non sembra molto attratto dall’idea di un candidato civico. Perché?
“C’è tutto un ragionamento da aprire su cosa voglia dire avere un candidato civico e sul fatto che per tanto tempo in Italia si è dato spazio a una retorica che racconta i civici come sempre migliori rispetto ai politici”.

Una retorica che resiste.
“La scelta dipende dal contesto, non si può dire se civico è meglio di politico o viceversa in termini assoluti”.

Appendino vinse alzando molto le aspettative in una parte importante dei torinesi. Accadrà anche la primavera prossima? Vincerà chi alimenterà le speranze senza risparmiarsi in promesse?
 “Se me lo avesse chiesto prima di marzo le avrei risposto di sì. Il Covid ha cambiato molte cose e ne cambierà ancora, portando a riagganciare la realtà rispetto ad aspettative alimentate con troppa facilità”.

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