LA SACRA RUOTA

Stellantis una "scelta obbligata" (e del doman non v'è certezza)

Troppa enfasi su un matrimonio le cui conseguenze sono in larga parte ancora da misurare. Una cosa è certa: senza questa aggregazione Fca avrebbe subito un ridimensionamento. E non sarà più una fucina domestica di classi dirigenti. Parla lo storico Berta

Questo matrimonio s’aveva da fare. “Tirarsi indietro sarebbe stato un ridimensionamento complessivo che avrebbe potuto avere conseguenze gravose. Rispondere che sì, sarà una grande occasione? Su questo sarei prudente, ma ripeto: da come si erano messe le cose era inevitabile”.

Da decenni studia, scrive e insegna la storia dell’industria (anche automobilistica), ma Giuseppe Berta, docente alla Bocconi, per anni a capo dell’archivio storico Fiat, guarda alle nozze tra Fca Psa da cui è nata Stellantis con il rigore dello storico di fonte al futuro e la cautela di chi sa come “le risposte a priori non funzionano mai in un settore come quello dell’automotive”. Nel coro a spartito pressoché unico in omaggio alle nozze, sovrastante anche le preoccupazioni che non hanno tardato a farsi sentire temendo di dover aggiungere altri lamenti a quelli già provocati dalla crisi economica prima e dalla pandemia poi, vengono messe in secondo piano. E, in aggiunta, persino porre domande semplici, come quella su quale piatto della bilancia, quello italiano o quello francese, peserà di più rischia di passare per sacrilegio nei confronti della Sacra Ruota.

Berta non è certo un eretico, ma non per questo nega quel che molti temono, sospettano, ma evitano di affrontare. Dunque, uno sbilanciamento verso Oltralpe “probabilmente può esserci. Ma non è questo il momento in cui potersi concedere dei ragionamenti a priori, in cui tutto si tiene. Bisogna lasciare aperte possibilità di evoluzioni che potranno riservare sorprese o riscontri non totalmente prevedibili. Pensare di avviare una politica di concentrazione e sviluppo cercando di lasciare le cose come sono mi pare piuttosto strano, una pia illusione”. 

Il vertice operativo nelle mani di Carlos Tavares, un top management che non sarà avaro rispetto a Psa, “vuol dire che c’è la necessità di una migliore combinazione tra i vari elementi e che sicuramente bisogna uscire da schemi degli ultimi anni, facendo un salto”. Ancor più esplicito, lo storico chiarisce: “Si tratta di fare delle cose che il gruppo Agnelli da solo non avrebbe potuto fare”. E su quali cose farà il nuovo player mondiale ci si interroga nella città che fu capitale dell’automobile, nella regione dove la filiera non sa se sperare o disperare, consapevole di quelle dimensioni di molte aziende che appaiono troppo piccole di fronte ai parametri stranieri. “È chiaro che l’Italia è più esposta alle pressioni di soggetti maggiori, tedeschi e francesi in primis. Indiscutibile che siamo una posizione di maggior debolezza. Certamente esistono delle possibilità all’interno delle varie attività che ci danno delle chance, anche in rapporto a quanto abbiamo costruito nel passato. A livelli specifici, possiamo tornare ad avere uno sviluppo di posizioni.Il n passaggio è molto stretto. Ci sarà una selezione – osserva Berta – e nell’orizzonte dei piccoli c’è quantomeno la prospettiva di semplificazioni piuttosto hard. Vedo anche la possibilità di tagli consistenti nell’arco di alcuni anni”.

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Affidarsi al futuro dell’auto elettrica? Basterà la 500? “Si vedrà. Bisogna che il mercato segua, e fino a questo momento non ci sono segnali sufficienti per determinare una svolta totale. La spinta ci sarà, ma non al punto di trascurare o addirittura mettere da parte i motori tradizionali. Occorrerà prudenza e duttilità”. Prudenza come quella che lo studioso dell’industria riserva ragionando sul futuro di Mirafiori. Avrà ancora senso il grande polo dove oggi – segno della crisi e della pandemia – si producono anche mascherine? “Mirafiori ha senso finché resta lì. La risposta è un po’ tautologica. Fino a quando ci sono ragioni economiche che sostengono il mantenimento di quel polo, più o meno pesante, ha un suo senso. È difficile fare un discorso di più lungo periodo su un insediamento industriale che si costituisce nelle sue logiche negli anni Trenta e va a maturazione tra la fine dei Cinquanta e i Sessanta. È chiaro che rappresenta una storia largamente trascorsa e lontana, ma non per questo credo sia il motivo per tirarci una bella riga sopra. Oggi di Mirafiori si ha ancora bisogno”.

Lontani paiono i tempi in cui se non tutto molto, a partire dalla politica nazionale e cittadina, ruotava attorno a corso Marconi. E quanto bisogno c’è stato della Fiat per pescarvi quella classe dirigente che forse mancava o che forse era più conveniente attingere proprio li? Non bisogna andare indietro di troppi anni, per trovare molteplici conferme di una pratica che, già un po’ tralasciata di recente, potrebbe finire del tutto proprio con questo ulteriore cambiamento arrivato con le nozze tra Fca e Psa. “ A Torino e in Italia bisogna trovare altri canali e altri modelli per la formazione della classe dirigente. La Fiat ha rappresentato almeno in parte un tentativo di allargamento, che forse poi è risultato troppo stretto. E comunque è un modello ormai superato”.  

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