Saracco e le sirene del Pd

Chissà se il ritorno di fiamma tra il Pd e Guido Saracco vincerà le reciproche diffidenze dei primi abboccamenti o, per la seconda volta, sarà un fuoco di paglia. Fonti romane riferiscono di un canale diretto aperto dall’entourage di Enrico Letta con il rettore del Politecnico, mentre alcuni sherpa starebbero saggiando il terreno sul fronte dei 5 stelle attraverso Chiara Appendino.

Inutile girarci attorno. Tra tutte le varie ipotesi finora in campo, il profilo di Saracco, per estrazione civica, genesi e paternità (e maternità) della proposta, è quello che meglio si attaglia a disegnare in chiave locale quell’alleanza “di fatto” tra i due partner del BisConte. E, soprattutto, per il prestigio della carica ricoperta potrebbe essere la candidatura di maggiore impatto mediatico e, almeno sulla carta, in grado di fare breccia nell’elettorato, travalicando i confini degli schieramenti. Non sappiamo se le ragioni – di natura personale e politica – che hanno portato il Magnifico di corso Duca degli Abruzzi, nel novembre dello scorso anno, a scendere dalla giostra impazzita del totonomi siano venute meno.

Chi ha avuto modo di sentirlo in queste ore ha tratto l’impressione di un Saracco lusingato dalla rinnovata attenzione ma per nulla propenso a cambiare idea. Del resto, da uomo navigato e accorto qual è non può non cogliere i rischi insiti di un eventuale dietrofront: trasmettere il santino di un candidato usurato dal tempo e dalle schermaglie diuturne del centrosinistra, depotenziato dalla carica di novità e di innovazione, ridotto a soluzione di risulta, da “ultima spiaggia”. Comunque vadano le cose, l’unica certezza è il capolavoro fatto dal Pd: logorare ogni candidato – reale, possibile o potenziale – che gli sia capitato per le mani. Tafazzi, al confronto, era un dilettante.

print_icon