INTERVISTA

"Se vince Damilano perde Torino"

Affondo del senatore dem Laus nella sua veste di imprenditore: "A Torino serve qualcuno che conosca la macchina amministrativa e studi i dossier". E ad Appendino: "Non c'è un Pd nazionale e uno locale, siamo tutti compatti su Lo Russo"

“Non critico Paolo Damilano come dirigente del Pd, io parlo da imprenditore”. Il senatore Mauro Laus è in piena trance agonistica a pochi giorni dalle elezioni e parla con lo Spiffero tra un impegno elettorale e l’altro: sostiene senza riserve il ticket formato da Maria Grazia Grippo e Pietro Tuttolomondo per la Sala Rossa anche se ammette più di una simpatia verso un outsider come Angelo Catanzaro che dalla Circoscrizione prova il grande salto a Palazzo Civico. Laus però è innanzitutto il principale sponsor su cui ha potuto contare Stefano Lo Russo, sin da quando la maggior parte del partito – da Roma a Torino – setacciava altri itinerari.

Oggi, alla fine di una delle più sonnolenti campagne elettorali che abbia conosciuto Torino, l’imprenditore e politico Laus dice di essere “ancora più convinto della scelta”, insomma “Lo Russo è la persona giusta e Damilano non ha capito una cosa importante…”. Ama le pause il senatore.

Quale?
«Non ha capito che, a differenza delle aziende private, nel pubblico la volontà di un politico non si trasforma automaticamente in realtà. Questo glielo dico da imprenditore. Al Comune di Torino non basta dire “voglio fare un tunnel sotto il Po” per realizzarlo. E questo Lo Russo lo sa bene perciò ha evitato promesse mirabolanti».

Detta così, è come ammettere che le grandi città sono destinate all’immobilismo.
«Non dico questo. Dico piuttosto che per far succedere le cose, quando ci si trova a confrontarsi con complessi apparati burocratici bisogna conoscere i dossier, avere studiato a fondo ogni dettaglio. Perché non basta volerlo il cambiamento, bisogna trovare la strada per attuarlo, altrimenti ti sentirai sempre dire che “questo non si può fare”».

A lei è capitato?
«Quando ho concluso il mio mandato da presidente del Consiglio regionale avevo un’esperienza tale che spesso ho pensato a quante cose avrei potuto fare in più con una maggiore conoscenza dei processi e della macchina, eppure non ero un novellino, a Palazzo Lascaris avevo trascorso due mandati».

Quindi anche lei ha dovuto imparare strada facendo?
«C’è sempre da imparare. Ma Torino oggi è un treno ad alta velocità che continua ad accumulare ritardi. Il macchinista non può permettersi il lusso di fare qualche anno di tirocinio. Non possiamo permettercelo. Le risorse che arriveranno andranno spese entro tempi certi. La città ha bisogno di una persona di livello, che conosce il palazzo, la politica, le regole del gioco. Per questo dico che se vince Damilano perde Torino, ma lui non lo sa, è in buona fede».

Intanto, però, nei sondaggi il centrosinistra arranca e le periferie – un tempo rosse – dopo una fuitina con il M5s, nel 2016, potrebbero guardare a destra.  Il Pd e Lo Russo esattamente a chi parlano?
«Parliamo a una città che si chiama Torino, da Falchera a Mirafiori. Una città che deve tornare a crescere nel suo complesso. Io sono un padre di famiglia e la povertà l’ho conosciuta, sono nato in una casa dove non c’era neanche l’acqua corrente, non ho bisogno di andare a chiedere consulenza per sapere come si vive senza soldi: detto questo per le periferie c’è una sola soluzione e deve partire da una norma nazionale».

E qual è?
«Un sindaco, in accordo con Regione e Governo, dovrebbe poter istituire delle zone franche all’interno del proprio territorio. Aree avvantaggiate da un sistema di decontribuzione e a burocrazia zero perché se un giovane vuole aprire un laboratorio magari lo fa lì e non da un'altra parte. E così si crea lavoro e si animano i quartieri. Alle Vallette non servono le lucine di Natale e non basta nemmeno dire “il lavoro è la mia ossessione”, come fa Damilano, se poi non sai come crearlo».

E così con le lucine di Natale alle Vallette s’è tolto anche un sassolino dalla scarpa nei confronti di Chiara Appendino, che ultimamente non ve le manda a dire.
«Dice che rispetta Enrico Letta ma ce l’ha col Pd locale. Lei stessa ammette che il governo Conte 2 ha premiato Torino più di quanto abbia fatto qualunque altro governo e poi lancia strali contro il gruppo dirigente subalpino e Lo Russo; il quale ha la colpa di aver esercitato con la schiena dritta il ruolo di opposizione che le urne gli avevano affidato. Io ad Appendino (e soprattutto ai torinesi) dico solo una cosa: basta con questa distinzione tra Pd nazionale e Pd locale: il Pd è uno ed è schierato compatto al fianco di Lo Russo, da Letta all’ultimo militante di Torino».

A proposito di Letta: ne avete notizie? È l’unico leader di un grande partito che non è venuto a Torino nell’ultima settimana…
«Il gruppo dirigente è al nostro fianco ma queste sono elezioni amministrative, si parla di Torino non si fa gazzarra sulle questioni nazionali. Lo Russo è il nostro Stefano Bonaccini, come lui vuole vincere con una campagna elettorale in cui ci sia Torino al centro».

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