IN BALLO(TTAGGIO)

Una (pallida) idea di Torino

In questi quindici giorni Lo Russo e Damilano devono ascoltare il messaggio lanciato dalla maggioranza silenziosa che ha disertato le urne. Una città così depressa ha bisogno di proposte concrete ma anche di riscoprire l'orgoglio perduto

È alla maggioranza silenziosa che si è fatta sentire con la sua astensione dal voto che, principalmente, dovranno rivolgersi i due contendenti in vista del ballottaggio. Molte le ragioni di questa necessità che se assolta nella maniera appropriata e, soprattutto convincente, potrà fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta per Stefano Lo Russo e Paolo Damilano.

Innanzitutto, quell’affluenza fermatasi al 48,6% come mai prima era capitato nella storia elettorale della città (anche per differenti consultazioni) non può che suonare come un allarme per chi ambisce a governare Torino e, da oggi in vista del ritorno al voto tra due settimane, deve interrogarsi trovando risposte serie e concrete a chi il voto ha deciso di negarlo. Un elemento non trascurabile di riflessione per chi guidare la città può essere senz’altro la geografia dell’astensione che racconta un rifiuto dell’urna crescente dal centro verso le periferie e, dunque, indica anche una condizione sociale come ulteriore parametro per comprendere il silenzio rumoroso della maggioranza degli elettori torinesi. Un altro motivo per cui rivolgersi a chi non è stato convinto dalla lunga campagna elettorale sta nel fatto che il futuro sindaco di Torino, visto che tradizionalmente i votanti al secondo turno sono sensibilmente di meno rispetto a quelli del primo, rischia di arrivare a Palazzo di Città su un consenso davvero esiguo rispetto alla popolazione che dovrà governare e ai cui bisogni dovrà dare risposte.

Infine, un aspetto che riguarda il distanziarsi quel tanto che basta da politicismi che portano a immaginare travasi di voti – nel caso quelli dei Cinquestelle, pur essendo stati esclusi apparentamenti – utili forse a raggiungere il 50 più uno dei voti, ma non a risolvere un problema che il prossimo sindaco e la sua amministrazione rischiano di portarsi come fardello fin dall’esordio. Un compito che si annuncia per nulla semplice, ma che può diventare ancor più difficile proprio se non si dà ascolto a quella parte di torinesi, maggioritaria, che non può essere liquidata tout-court come fisiologica interprete della disaffezione dalla politica. Di fronte a quel 51,4 di non votanti, prim’ancora che davanti alle percentuali di consenso che oggi pongono avanti il candidato del centrosinistra a quello del centrodestra (pur soi-disant liberale moderato) dovrebbero guardare indietro, a una campagna elettorale tra le più smunte che si ricordino. E cambiare registro. Serve una proposta ambiziosa ma non spudoratamente velleitaria, in grado di evocare una visione di prospettiva con progetti fattibili, capace di guardare in faccia la realtà e insieme di titillare l’orgoglio perduto dei torinesi.

Il risultato di ieri, oltre al dato allarmante dell’astensione da tenere a mente come segnale ancor più importante in un voto che arriva dopo quasi due anni di pandemia e con un governo al cui presidente del consiglio i partiti paiono aver appaltato o delegato illa politica, fornisce ulteriori elementi di riflessione. Uno riguarda, complici i sondaggi, l’apparente rocambolesca inversione di ruolo tra inseguito e inseguitore, con Lo Russo che si rivela ciò che fino appunto a ieri si immaginava dovesse essere Damilano. Forse il vantaggio accumulato dall’imprenditore avviando la sua campagna elettorale ormai molti mesi fa in beata solitudine si è rivelato fallace. Nel centrodestra, poi, sia FdI che pur raddoppia i voti rispetto alle regionali e la Lega che accusa una battuta d’arresto, non sfondano come atteso. Tant’è che la prima forza della coalizione è la Torino Bellissima di Damilano. Da ciò non può conseguire che vi sia stato un travaso di voti, cambiando la lista civica dal ruolo di valore aggiunto come offerta attrattiva verso il centro a serbatoio di voti in uscita da un elettorato consolidato, soprattutto leghista. A conferma di ciò lo scarsissimo risultato dell’altra lista civica, Progresso Torino, che avrebbe dovuto drenare consensi dal centrosinistra: un flop. Non diversamente è andata sull’altro fronte dove il fulcro per Lo Russo è un Pd tutto sommato rinvigorito rispetto alle previsioni, ma anche in questo caso non si è andati al di fuori del perimetro della coalizione.

In questo scenario dove da una parte e dall’altra è mancata quella visione, quella proposta di cui si diceva. È mancata nell’amministratore di competenza ed esperienza che incarna l’offerta del centrosinistra, è mancata nell’imprenditore che oltre alla cifra del proprio successo professionale non ha saputo trasmettere una convincente idea di città. Aldilà degli slogan qual è la Torino dei prossimi cinque, dieci quindici anni che Lo Russo e Damilano propongono? Il primo ha elencato interventi importanti, qualche obiettivo ambizioso come la città universitaria, ma il racconto a tutto tondo della città ancora manca. Così come nella narrazione del suo avversario che pur lanciandosi in idee mirabolanti come quella del tunnel sotto il Po o il futuro della stazione di Porta Nuova (tutta roba ricicciata e a suo tempo archiviata), ancora manca di un ritratto, non semplici pur apprezzabili pennellate, della città reale da offrire ai torinesi.

Entrambi, pur partendo da posizioni diverse stabilite dal voto, da oggi incominciano a giocare, come si dice, una nuova partita e non il secondo tempo. Hanno meno di due settimane per rispondere a quella domanda arrivata col rifiuto del voto e che, va detto, non riguarda soltanto la politica ma tutta la classe dirigente e l’establishment di quella che da tempo appare come una città depressa. Un’idea di città. Quella che è mancato fino ad oggi o comunque, come dice il silenzio della maggioranza che ha disertato i seggi, non è stata raccontata nella maniera migliore.

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