PALAZZO LASCARIS

Indagine sul Covid in Piemonte,
"Nessun processo sommario"

Approdano in Aula le due relazioni del gruppo di lavoro incaricato di far luce sulla gestione regionale della pandemia. Vuoto il banco degli imputati. Più che cercare capri espiatori sarà l'occasione per rimediare agli errori, recenti e passati, del sistema sanitario

Non sarà una Norimberga (mutuando un improprio riferimento sulla bocca dei no vax) per la gestione dell’emergenza sanitaria imposta dalla pandemia. Assurdo, oltreché immotivato, risulterebbe semmai lo fosse. È, e dev’essere, altro la risultanza del lavoro di indagine su come in Piemonte si sia approcciato a qualcosa di assolutamente inedito, imprevisto e imprevedibile, qual è stata e per alcuni versi ancora è la pandemia generata dal Covid.

La relazione finale del gruppo di lavoro per l’indagine sull’emergenza sanitaria, licenziata ieri in commissione, che dovrebbe approdare in aula a Palazzo Lascaris domani sarà uno strumento utile, per molti versi indispensabile, se si spoglierà dal non nascosto intento delle minoranze di attribuirle il ruolo di supporto al j’accuse verso l’attuale gestione politica della sanità regionale e, per converso, di attacco da respingere con pavloviana levata di scudi nella visione della maggioranza.

I presupposti per evitare un ingiustificabile patibolo per la giunta di Alberto Cirio e tutta la macchina che si è messa in moto fin dai primi casi con tutti i limiti e le possibili carenze, per evitare che il Pd che esprime nel consigliere Daniele Valle la guida del gruppo di lavoro e per le altre minoranze il ruolo delle tricoteuse, paiono in effetti esserci. “L’indagine sull’emergenza Covid deve essere uno strumento utile per migliorare il sistema sanitario piemontese nel suo complesso e non farci trovare impreparati a future emergenze”, dice il vicepresidente della commissione Sanità, il dem Domenico Rossi. “Un percorso in cui abbiamo voluto dare voce agli interlocutori per esaminare l’attività dell’organizzazione della sanità in emergenza, non solo con lo scopo di fare chiarezza, ma per raccogliere ogni spunto utile a costruire il futuro post-pandemia della Sanità piemontese”, la valutazione del presidente della commissione il leghista Alessandro Stecco.

Arma spuntata, rispetto alle malcelate aspettative, per le minoranze e situazione oggettivamente meritevole di valutazioni per fare meglio e apportare le correzioni necessarie per la maggioranza di centrodestra. Davvero sarà questo l’auspicabile risultato del lavoro, meticoloso e puntuale, fatto nei mesi scorsi? La prima risposta o, comunque, un’indicazione chiara la si avrà con la discussione in Consiglio regionale delle relazioni che precederanno il voto finale. Se dalla maggioranza si pone in evidenza “il lavoro dell’assessore per il recupero delle liste di attesa, per l’impiego dei fondi della legge regionale per favorire nuove aggregazioni fra i medici di base, così come gli investimenti del Pnrr” mettendo in evidenza il ruolo dell’appena varata Azienda Sanitaria Zero, sul fronte opposto il Pd evidenzia “le lacune nella gestione della pandemia” la cui valutazione “può essere il punto di partenza per riconoscere le criticità e migliorare il sistema sanitario regionale”.

La verità che pare emergere dall’indagine è che sul banco degli imputati sta il sistema sanitario piuttosto che coloro che negli ultimi anni e tuttora sono chiamati ad applicarlo, facendovi i conti nel bene e nel male. Ritardi, inadeguatezze, farraginosità che già erano chiare ed evidenti ben prima che la pandemia le illuminasse senza ombre, sono il fardello che la sanità piemontese, ma non solo questa, si trascina da anni se non da qualche decennio.

Un esempio, tra i tanti: bisogna riandare a un po’ di anni addietro, ben prima dell’avvio dell’attuale legislatura, per trovare una sperequazione del personale amministrativo in sanità rispetto a quello prettamente sanitario in barba ai parametri dettati dal Patto della salute dell’allora ministro Beatrice Lorenzin. Quanti sanitari negli anni erano finiti per varie e non sempre motivate ragioni negli uffici senza mai fare ritorno in corsia, spesso con l’efficace copertura dei sindacati? Quanto erano state tradotte in pratica le promesse dei vari assessori, di diverso colore, avvicendatisi in corso Regina su questo aspetto non proprio secondario? Poi arrivano i giorni dell’emergenza e si scopre che nelle corsie lavorano gli eroi, nel cui novero manca un bel po’ di quel personale che un attento aggiornamento delle motivazioni dei citati trasferimenti avrebbe potuto fornire.

Strabismo bypartisan, impotenza a sinistra come a destra. Assunzioni difficili, bandi deserti, attrattività prossima allo zero, questo e altro ha reso più difficile una risposta già di per sé difficile alla pandemia. Che, va detto, in Piemonte non è stata certamente inferiore quantitativamente e qualitativamente rispetto a molte (se non tutte le) altre regioni, peraltro senza la pesante eredità di anni trascorsi con i vincoli del piano di rientro. Da qui, dalla consapevolezza di responsabilità distribuite nel tempo e nei vari colori politici, dovrebbe partire l’analisi di quanto emerso dal lavoro di indagine che approderà in aula. Un’occasione per rimediare agli errori, recenti e passati, e disegnare un futuro concreto e attuabile per la sanità piemontese.

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