SACRO & PROFANO

Il teologo Repole vescovo di Torino

Domani alla Consolata monsignor Nosiglia annuncerà il nome del suo successore. Certa la designazione del prelato "boariniano", sorta di espressione ecclesiale del pensiero debole di Vattimo. Dopo mesi di attesa e di consultazioni, la scelta è stata fatta fuori dalla rosa finale

A quanto pare ci siamo. Domani alle 12 verrà svelato il nome del nuovo arcivescovo di Torino, chiudendo così una lunga attesa che negli ultimi tempi era diventata, nella comunità dei fedeli ma soprattutto nel clero e in curia, a dir poco snervante. Salvo improbabili sorprese il nome che verrà pronunciato da Nosiglia sarà quello del teologo Roberto Repole, classe 1967, ordinato nel 1992, direttore della facoltà di Teologia ed ex presidente dei teologi italiani, esponente della cosiddetta corrente "boariniana", il cui borsino negli ultimi giorni era salito in maniera notevole e inequivocabile. 

Rispettando la consuetudine l’annuncio verrà dato alla Consolata, in contemporanea dalla sala stampa vaticana e dalla diocesi. Dopo la frenetica girandola di ipotesi – i “papabili” fatti circolare sono stati una ventina – la scelta di papa Francesco per la successione di Cesare Nosiglia, 77 anni, alla guida della chiesa torinese dall’ottobre 2010, è quindi andata su una soluzione “domestica”, con la promozione alla cattedra di San Massimo di un figlio della terra allobroga.

Al termine delle consultazioni condotte dal nunzio apostolico in Italia Emil Paul Tscherrig la rosa sottoposta al vaglio del pontefice pare contenesse otto nomi di peso: Erio Castellucci, arcivescovo-abate di Modena-Nonantola, vescovo di Carpi e vicepresidente della Conferenza episcopale italiana; Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio; Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana, ed ex ausiliare di Milano; Saverio Cannistrà, ex preposito generale dei Carmelitani scalzi; il ligure Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo; l’abate di Montecassino, dom Donato Ogliari, nelle ultime settimane dato per favorito. E, infine, i due piemontesi, anche se il secondo di adozione: Derio Olivero, cuneese, classe 1961, vescovo di Pinerolo, pastore “progressista” molto sponsorizzato da don Luigi Ciotti, fino a qualche tempo fa di casa a Santa Marta, e il cremonese Egidio Miragoli, 66 anni, attuale titolare della diocesi di Mondovì.

La teologia di don Repole si potrebbe definire il versante clericale del pensiero debole di vattimiana memoria. Dio e il cristianesimo non possono che essere pensati fuori dal «sacro» come «deboli», così una Chiesa – tutta da ripensare – deve essere umile, perché non ha pretese veritative ma è semplicemente al servizio dei poveri, così il sacerdote non può più essere “l’uomo dell’Eucaristia” ma soltanto un cristiano. Anche la Chiesa deve iniziare a sperimentare «processi democratici», similmente alle moderne forme statuali poiché alla secolarizzazione è illusorio opporsi e pertanto non ci si può che adattare alle mutate condizioni del credere che essa impone.

A proposito di “volumetti”, occorre sapere che la definizione è da attribuirsi nientedimeno che all’emerito Benedetto XVI. Nel 2018 scoppiò lo scandalo che portò il capo della comunicazione vaticana monsignor Edoardo Viganò alle dimissioni per aver per aver clamorosamente manipolato – fabbricando una fake news – una lettera riservata di Benedetto in cui si usava il suo nome per lanciare la collana La teologia di Papa Francesco. Nella parte omessa, Benedetto definiva «volumetti» i libri dedicati al suo successore, chiarendo che tra gli autori figurasse anche il nome di Peter Hunermann il quale «durante il mio pontificato si è messo in luce per aver capeggiato iniziative antipapali» arrivando a costituire in Germania un istituto per contrastare il suo pensiero. Fra questi «volumetti», era presente anche un testo di Repole il quale è noto per la teoria, ricorrente in tutte le occasioni, per cui esiste una Chiesa del prima e una del dopo, assolutamente incompatibili fra di loro. La prima – ancorché gloriosa e piena di meriti – non ha più nulla da dire agli uomini d’oggi, la seconda – quella che da cinquant’anni è in costruzione – ancora tutta da ideare, progettare e costruire. Come anche un giovane seminarista può notare, è questa la tipica ermeneutica conciliare della rottura e della discontinuità, sin dal 2005 stigmatizzata da Benedetto XVI, per cui si può comprendere bene come questi non abbia perso tempo nella lettura, fra gli altri, del «volumetto» del teologo torinese.

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