VERSO IL VOTO

Meloni verso una vittoria netta,
ma c'è chi gufa: "Durerà poco"

Nonostante la (pessima) legge elettorale il centrodestra potrebbe superare agevolmente il 50%, arrivando anche al 62-63%. Calenda e Renzi non sono affatto rassegnati: "C'è ancora Draghi nel futuro". Ecco cosa succederà secondo Fornaro, gran esperto di sistemi di voto

Nessuno arriva a prospettare una “vittoria mutilata”, ma in tanti ritengono che a urne chiuse l’affermazione elettorale del centrodestra si rivelerà assai meno schiacciante, come invece pronosticano i sondaggi a un mese dal voto. Non tanto sul piano dei numeri, che quelli ormai sembrano decretare un risultato netto per Giorgia Meloni, quanto sul terreno della tenuta politica della futura maggioranza. Un auspicio per gli avversari, un monito per le stesse forze della coalizione. Carlo Calenda è convinto che chiunque dovesse prevalere alle elezioni, al governo non durerebbe “più di sei mesi”, viste le “enormi contraddizioni interne”, mentre l’Italia ha bisogno di proseguire sulla strada di un governo Draghi o che si ispiri al metodo Draghi, con una coalizione dei partiti più responsabili. E allora torna in voga con il leader di Azione con il suo gemello diverso Matteo Renzi il modello Ursula che ricalca la formula di alleanza tra forze diverse – socialdemocratici più popolari ma niente sovranisti – che nel Parlamento europeo sostengono la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Una scelta politica. Insomma, non sarà sui numeri che si potrà arrestare l’onda della destra. Nonostante una legge elettorale che, nelle mai confessate intenzioni degli autori, sia perfetta per assicurare la “non vittoria” di bersaniana memoria, come si è visto cinque anni fa. Ma qualcosa nel frattempo è cambiato.

“In determinate condizioni, la coalizione di maggioranza è in grado ottenere il 50% dei seggi sia alla Camera sia al Senato anche con il Rosatellum”. Ne è sicuro Federico Fornaro, capogruppo di LeU a Montecitorio e grande esperto di leggi elettorali, tema cui ha dedicato molti saggi (l’ultimo, Il collasso di una democrazia per Bollati Boringhieri, sarà in libreria il prossimo 2 settembre).

Ma, allora, qual è il grande limite di questa legge elettorale?
“Il limite del Rosatellum è che è stato pensato per uno schema bipolare e, invece, alla sua prima applicazione, si è trovato di fronte uno sistema politico tripolare che non ha permesso di avere una maggioranza.  Stavolta ciò che inciderà per la tenuta della maggioranza sarà il taglio dei parlamenti. Due senatori rappresentano l'1% e, se uno ha il 55% si ottengono 10 senatori di maggioranza. In termini assoluti è un numero ridotto e, quindi, potrebbe far crescere la capacità di interdizione dei piccoli partiti”.

I partiti piccoli, però, hanno la difficoltà di superare la soglia del 3%. Giusto?
“Sì, hanno questa difficoltà che, al Senato, è aggravata dalla mancanza del recupero dei resti a livello nazionale. Una simulazione dell’ufficio studi della Camera di applicazione del Rosatellum dopo il taglio del numero dei parlamentari evidenzia come un partito del 3,4% avrebbe 9 deputati e solo 2 senatori. Liberi e Uguali, nel 2018, ebbe 14 deputati, ma solo 4 senatori. Questo è dovuto al mancato recupero dei resti e, quindi, delle soglie di sbarramento implicite a livello regionale che sono state ulteriormente alzate, proprio nelle Regioni più piccole in conseguenza della riduzione del numero. La Basilicata prima eleggeva 7 senatori, oggi soltanto tre. Ciò significa che una lista del 15% quasi sicuramente, non avrà rappresentanza parlamentare in quella Regione”.

Lei è stato relatore di una proposta di riforma della legge elettorale...
“La mia riforma costituzionale, passata solo in prima lettura alla Camera, cercava di limitare i danni di questo combinato disposto tra Rosatellum e riduzione del numero dei parlamentari. Oggi la Costituzione prevede che il Senato sia eletto su base regionale, mentre io propongo un’elezione su base circoscrizionale però con il recupero dei resti. Con la mia proposta nessun voto sarebbe stato sprecato”.

Cos'è il cosiddetto “flipper”?
“È un sistema che è conseguente al fatto che, inizialmente, c’è un’assegnazione dei seggi su base nazionale attraverso un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 3%. Sostanzialmente si prenderanno i voti validi ottenuti da tutte le liste che hanno superato tale soglia e si divideranno per 245, si otterrà un quoziente nazionale e si attribuirà un certo numero di seggi alle varie coalizioni o alle liste singole. Fatta questa prima attribuzione, si ripeterà tale ripartizione provvisoria di seggi anche per le circoscrizioni e, sommando tutti i risultati delle varie circoscrizioni, le coalizioni o le liste singole si possono trovare in una situazione particolare. Se il numero di seggi attribuiti provvisoriamente in circoscrizione è uguale a quelli che sono stati assegnati a livello nazionale non succede niente. Può, però, anche accadere che, a livello circoscrizionale, si abbia un seggio in più o in meno”.

A questo punto cosa succede?
“Prevale l’assegnazione dei seggi a livello nazionale. Si avranno, quindi, liste eccedentarie o deficitarie. In questo caso, la legge stabilisce di prendere in esame le liste eccedentarie, mettere in ordine decrescente tutti i resti che hanno determinato l’assegnazione di un seggio. Fatto questo si va a vedere l’ultimo e, se c’è una restituzione da attuare, si toglie il seggio nella circoscrizione con il resto più basso e quel seggio viene dato alla lista deficitaria. Si chiama flipper perché non si è in grado di determinare a priori dove la pallina si fermerà perché questo dipende dal risultato della lista eccedentaria. Un terzo della rappresentanza dei partiti piccoli, nel 2018, è stato soggetto a fattori casuali non dipendenti dai risultati di tale liste. Ad essere colpite sono, dunque, soprattutto le liste piccole perché, con la riduzione del numero dei parlamentari, le soglie implicite a livello di circoscrizione si sono alzate di un terzo.

Tra le forze riformiste c'è la convinzione che, anche qualora vincesse il centrodestra, il governo possa crollare entro sei mesi. È un’ipotesi realistica?
“Il presidente della Repubblica è garante della Costituzione. Qualora il centrodestra vincesse le elezioni, l’incarico verrà dato all’esponente di quella coalizione. Oggi, non so su quali basi si possa dire che questa alleanza durerà poco o tanto, ma alcune ricette di politica economica come la flat tax, che ha un costo elevatissimo per lo Stato, è totalmente incompatibile con la situazione dei conti pubblici italiani. Questo potrebbe spaventare i nostri creditori esteri”.

Ma è davvero possibile che il centrodestra ottenga i 2/3 dei seggi?
“Guardi, più il centrodestra si avvicina a una percentuale intorno al 50% è evidente che gli basterebbe un numero non eccezionale di seggi per avere la maggioranza. Detto questo, sul piano strettamente teorico, è possibile che il centrodestra possa ottenga anche il 66% dei seggi. Ovviamente è più realistico che si avvicini a questa percentuale piuttosto che raggiungerla o superarla. Anche arrivare al 62-63% è rischioso perché Renzi sul tema del presidenzialismo ha delle posizioni differenti, ma non opposte a quelle della Meloni. Ecco, dunque, che il rischio di poter cambiare la Costituzione più agevolmente, esiste”.

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