Sul lavoro il Pd abiura se stesso

Voglio fare alcune domande al segretario del Pd, Enrico Letta:
1) con l’applicazione del Jobs Act e l’eliminazione definitiva dell’articolo 18, di quanto sono aumentati i licenziamenti riferiti a quella tipologia?
2) ha letto la riforma del mercato del lavoro spagnola?

Il Jobs Act – riforma voluta dal Pd che dovrebbe smetterla di abiurare la propria storia recente sconfessando i passati segretari – attraverso la decontribuzione a favore delle aziende ha portato alla trasformazione di circa 700mila contratti a tempo determinato in tempo indeterminato. Inoltre, eliminando l’articolo 18, non ha incrementato i licenziamenti individuali; e quelli collettivi non dipendono né dall’articolo 18 né dal Jobs Act. Inoltre ha ridotto l’uso improprio della cassa integrazione ordinaria che grava sulle casse dello Stato.

La riforma del mercato del lavoro spagnola dice semplicemente che tutti i contratti sono a tempo indeterminato ma se vi è apposta la causale “per circostanze della produzione” vi è anche la data di licenziamento. Un’operazione fittizia e demagogica che ricorda, in Italia, il lavoro intermittente e/o a chiamata che il sindacato aveva chiesto di abolire.

Insomma, ancora una volta il Pd pare promuovere un approccio ideologico e non pragmatico su un provvedimento simbolo della sua storia recente, sostenuto da buona parte della nomenclatura che oggi appoggia Letta. E strumentale pare pure il sostegno al reddito di cittadinanza su cui in parlamento i dem si erano pronunciati in modo contrario.

È questa la nuova politica sul lavoro cui ha fatto riferimento il vicesegretario del Pd in una recente intervista? Il Pd si è messo a correre dietro ai grillini e a Fratoianni? Quel Fratoianni che si farà eleggere grazie al Pd e che dal 26 settembre si metterà in proprio.

Scusate ma ho le idee un po' confuse sulla linearità delle scelte politiche del Pd, soprattutto riguardo ai temi del lavoro.

Mi auguro che Letta, quando verrà a Torino, si rechi alla Porta 2 di Mirafiori per convincere gli operai a votarlo. In questi anni il Pd ha trascurato troppo il lavoro e in particolare il lavoro operaio e industriale; eppure, almeno a Torino ha uomini e donne con una profonda conoscenza del mondo del lavoro e di ottimi amministratori. Nonostante questo si è preferito paracadutare “forestieri” che hanno come unico atout la fedeltà nei confronti del segretario. Che poi alla fine è esattamente ciò che fece Renzi.

Se gli operai non votano più in massa il Pd ma in parte si astengono, in parte votano alla sua sinistra o ancora, per stavolta, i grillini o si rivolgono abbondantemente a destra ciò è dovuto a due fattori: il primo è non avere avuto il coraggio di difendere fino in fondo le sue scelte come quella del Jobs Act. Nel 2015 nelle fabbriche i militanti Pd della Cgil erano timidi, “si nascondevano dietro le pile durante le assemblee anziché avere il coraggio di difendere e spiegare le proprie scelte. La conseguenza del primo fattore genera il secondo e cioè che la Cgil scarica il Pd. Ricordo che era segretario regionale Gianfranco Morgando (parliamo degli anni intorno al 2008) e da segretario della Fim gli chiedevo perché continuassero con questo rapporto con la Cgil quando poi la maggior parte non li votava. Sono passati quattordici anni ma il Pd ha continuato imperterrito a coltivare un campo in cui poi altri passavano a mietere il raccolto, anche se poi non andavano oltre il 2-3%.

E oggi il Pd, scaricato dalla Cgil, sui temi del lavoro assume una posizione pseudo grillina sperando in un recupero del voto operaio pensando di andare a Mirafiori e che possa servire dire agli operai che si sono sbagliati sul Jobs Act, sulla Fornero? Il taccone peggio del buco, si dice, perché gli operai torinesi hanno più memoria di tanti politici di sinistra e non sono marionette.

Se nemmeno gli operai torinesi ormai hanno più paura dello “spauracchio” della destra agitato dal gruppo dirigente romano forse è giunto il momento che il Pd torni nei luoghi di lavoro, suggerimento che ripeto da un po’ di anni. So benissimo che è faticoso, ci vuole tempo e che significa ricreare una parte del gruppo dirigente del partito; che significa investire risorse economiche perché oggi fare politica, anche a sinistra è per abbienti. Anche qui ormai c’è un dumping sociale.

Tornando nei luoghi di lavoro il Pd scoprirà che non serve l’ideologia ma la concretezza del fare operaio, scoprirà le esigenze vere delle persone e saprà fare proposte concrete evitando anche le ultime boutade elettorali come quelle sul salario minimo su cui l’Europa è stata chiara e il ministro Orlando anche. E allora anche qui, perché rilanciare una battaglia grillina anziché spiegare l’accordo che si stava raggiungendo con il sindacato e le imprese?

Lascio una speranza per almeno un voto, comunque al Pd, evitando di scrivere le considerazioni finali.

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