TRAVAGLI DEMOCRATICI

Pd a congresso, todos secretarios

Cresce ora dopo ora la lista degli aspiranti alla guida del Nazareno. Non solo Bonaccini e la sua vice Schlein (non iscritta). In campo anche i sindaci, a partire dal presidente dell'Anci Decaro. Orfini: "Avanti così e arriviamo al congresso con 60 candidati"

"Con una media di un paio di autocandidature al giorno, se siamo bravi nel giro di un paio di mesi possiamo arrivare a una sessantina di candidati a un congresso che non è nemmeno stato convocato”. La descrizione migliore di quanto sta accadendo nel Partito Democratico dopo la disfatta elettorale e l’annuncio di Enrico Letta di non ricandidarsi, ma neppure di dimettersi prima del passaggio congressuale, è senza dubbio quella che Matteo Orfini affida a un tweet, chiosandola con un sarcastico “geniale”.

Al Pd serve, nell'ordine, “un congresso profondo”, “un reset”, “una rifondazione”, “un aggiornamento”, “uno smantellamento”, questo il mantra che a urne ancora calde e débâcle scottante arriva dai dirigenti del Nazareno, il tutto accompagnato dalla frase di rito: “Non basta cambiare il segretario”. Invece sembra proprio che i fatti contraddicano le parole, ponendo innanzi a tutto proprio la figura che dalla sua nascita il partito della veltroniana “vocazione maggioritaria” ha visto durare in media un paio d’anni, a volte meno.

Passato dagli occhi di tigre a quelli pesti del grande sconfitto, Letta non ha più fatto dichiarazioni dopo la conferenza stampa di lunedì. Dicono stia lavorando sui dossier che riguardano il ruolo che attende il partito alle Camere, primo fra tutti le presidenze delle commissioni di garanzia. Nel frattempo fioccano le autocandidature per il Nazareno. 

La prima, annunciata da tempo (ancor prima della disfatta) è quella del presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, nome su cui punta Base Riformista, area che si raccoglie attorno a Lorenzo Guerini. Il presidente dell'Emilia-Romagna non ha ancora sciolto la riserva, ma parla già da candidato quando dice che "non è il momento di partire dai nomi e dai cognomi, è un momento di rigenerazione del partito, discutere dei contenuti”. Bonaccini da una parte dei dem, quella più a sinistra e più incline a riaprire il dialogo con i Cinquestelle e che pur avendola approvata adesso critica la decisione di Letta di chiudere la porta in faccia a Giuseppe Conte, è ancora considerato troppo renziano. 

Caratteristica che certo può essere ascritta alla sua vice in Regione, Elly Schlein, la Alexandria Ocasio Cortez d'Italia, come viene definita dopo un titolo del Guardian che la paragonava alla deputata dell'area radicale dei dem statunitensi. Il nome di Schlein viene fatto da più parti, ma lei non si è ancora pronunciata sul punto. Certo sarebbe curioso che l’ex suffragetta di Occupy Pd, civatiana con susseguente abbandono di Pippo, arrivata in Parlamento Europeo nelle liste del Pd e poi numero due di Bonaccini arrivasse a occupare la mai comoda poltrona al Nazareno senza essere iscritta al partito. Chi guarda a quello che potrebbe essere un derby scaccia l’ipotesi: “Un congresso in cui si fronteggiano un presidente di regione e la sua vice non è dato in natura”, però considerate le vicende che dall’inizio segnano il partito, mai dire mai.

Mentre ancora non c’è una data certa del congresso, a scendere in campo sono pure i sindaci: da quello di Pesaro Matteo Ricci al primo cittadino di Firenze Dario Nardella, passando per il barese presidente dell’Anci Antonio Decaro le fasce tricolori dem sembrano aver avviato un congresso nel congresso, a partire dai rispettivi territori. 

Una platea affollata più di certi comizi, quella degli aspiranti segretari cui si è aggiunta anche l’ex ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, ma dalle parti del Nazareno assicurano che la lista si allungherà ancora, aggiungendo un’altra verità: “Siamo frastornati dalla sconfitta e non sappiamo quale sarà il percorso da qui al congresso”. Nel frattempo c’è da decidere sui presidenti dei gruppi parlamentari. Il volersi fare “garante di una transizione equilibrata” come annunciato da Letta, significherà anche non toccare, per il momento le due poltrone occupate alla Camera da Simona Malpezzi e al Senato da Debora Serracchiani? Probabile. Un cambio, basato sui nuovi eletti, significherebbe andare in rotta di collisione con Base Riformista. Per questo il mantenimento dei ruoli attuali, da ridiscutere dopo il congresso, pare essere ciò a cui guarda Letta. Con gli occhi di tigre, finita dritta nel mezzo di un safari.

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