RETROSCENA

Cirio e i suoi Fratelli (d'Italia) mandano nel panico la Lega

Cosa nasconde l'improvvisa "freddezza" di Molinari? I leghisti temono la formazione di un asse privilegiato tra governatore e FdI. Del resto non era proprio tra le braccia della Meloni che voleva finire solo pochi mesi fa? Sarà una fine legislatura spumeggiante

Cirio ha una bravissima sorella, ma ha tanto bisogno di Fratelli”. La battuta che circola contiene due verità. La prima riguarda Giuliana, apprezzatissima manager da tempo alla direzione della complessa e potente macchina di Confindustria Cuneo. La seconda mette l’accento sulle repentine conseguenze del voto politico sul futuro del governatore e il dito nella piaga che brucia e non poco alla Lega, già presa a leccarsi le ferite inferte dalle urne.

Proprio il partito di Matteo Salvini, in virtù dei voti presi nel 2019 azionista di larga maggioranza della coalizione che governa il Piemonte, dopo il responso delle urne osserva con occhi diversi e più guardinghi il presidente della Regione. Non solo per una antica diffidenza verso questo ex compagno di partito – Cirio ha iniziato sul fine degli anni Novanta la carriera politica da consigliere comunale di Alba nella Lega di Umberto Bossi, lasciandola qualche anno dopo per approdare in Forza Italia – ma soprattutto perché i leghisti temono la formazione di un rapporto privilegiato con Fratelli d’Italia che li possa progressivamente emarginare. “Ha una straordinaria abilità nello stare con i vincenti”, maligna uno dei maggiorenti locali del Carroccio. Le parole spese, in alcune dichiarazioni, dal segretario regionale e probabile riconfermato capogruppo alla Camera Riccardo Molinari fanno scendere a livelli polari la temperatura nei confronti del governatore e, nella fattispecie, del suo futuro a partire dalla ricandidatura.

Il mettere in forse un secondo mandato per l’attuale presidente, lo spingere più avanti un pronunciamento sul punto: come vanno letti se non (anche) come una crescente diffidenza da parte della Lega nei confronti del diretto interessato? È pur vero che è lo stesso Cirio a non aver ancora detto, con chiarezza, ciò che intende fare nel 2019. Presentarsi agli elettori per un secondo quinquennio al timone della Regione o, nella stessa data vista la concomitanza delle elezioni, per tornare al Parlamento Europeo dov’è stato dal 2014 al 2019, magari guardando (come starebbe facendo da tempo, non precludendosi più di un’opportunità o un’ambizione) a un posto da commissario a Bruxelles?

In entrambi i casi, sia il Piemonte o l’Europa la meta, l’accorto politico langhetto sa che avrà bisogno, assai più di prima, proprio dei Fratelli. In campagna elettorale ha fatto tutto fuorché sbilanciarsi (anche nei confronti del suo partito) limitandosi ad esercitare  comme il faut il ruolo di padrone di casa, accogliendo i leader del centrodestra, ma senza andare molto oltre (salvo per il suo segnaposto in parlamento Marco Perosino) e in questo apparendo speculare al sindaco di Torino Stefano Lo Russo anch’egli supporter molto (istituzionalmente) misurato del centrosinistra. 

Adesso, di fronte ai risultati che inevitabilmente modificheranno in maniera crescente gli equilibri e le dinamiche all’interno della maggioranza, il governatore sa che anche il suo rapporto con il partito della Meloni non può che cambiare, esigenza dettata da quella realpolitik che sono i maligni scambiano per opportunismo. Continuerà a blandire tutti, facendo gli occhi dolci anzitutto al suo partito, Forza Italia, di cui peraltro misura lo stato di salute (“Siamo vivi” è stata la sua diagnosi dopo lo spoglio delle schede). Ma non è certo l’inutile Antonio Tajani – oggi tutto concentrato a guadagnarsi una poltrono nel futuro governo – a potergli garantire un futuro.

“Seguite ogni suo passo”, pare sia stato l’ordine impartito dai vertici leghisti alle diramazioni di giunta e Palazzo Lascaris. Radar per intercettare anche impercettibili segnali che possano arrivare e partire da Piazza Castello verso la forza vincitrice delle elezioni, ha più di una ragione. La politica archivia molto in fretta, specie ciò che può risultare di ostacolo nei rapporti, ma non sono passati né lustri né decenni, ma meno di un paio d’anni da quando le voci di un possibile passaggio di Cirio dalle fila azzurre a quelle meloniane si rincorsero non senza motivo. C’è chi assicura si arrivò a un passo. Quel passo non ci fu, ma lo spettro che già allora allarmò non poco la Lega (oltre, naturalmente ai berluscones) oggi, pur senza cambio di casacca e solo per un nient’affatto escludibile ulteriore avvicinamento, per i capataz del partito di Salvini è un attimo a diventare incubo.

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