OBITUARY

Maroni, "un maestro di politica"

Nelle parole di Cota il ritratto del politico leghista scomparso oggi a 67 anni. Più volte ministro e governatore della Lombardia. Ha guidato la Lega dopo l'era Bossi. Si era ritirato lo scorso anno a causa della malattia

Per me Umberto Bossi era il capo e Roberto Maroni il maestro. Bossi individuava la linea politica e Maroni la portava avanti nelle istituzioni. Questa era la Lega. Quando sono stato scelto come capogruppo alla Camera (prima di accettare gli avevo chiesto consiglio), di fronte alla preoccupazione di svolgere al meglio il mandato, un po’ tutti mi dissero “Cerca di fare come Maroni e sei a posto”. Ho cercato di fare così. Di seguire un metodo di lavoro che avevo appreso da lui mentre ero stato il suo vice e che prevedeva l’analisi, poi la sintesi e la scelta della linea, infine la spiegazione delle ragioni a sostegno (da avvocato mi ci ritrovavo). Era un uomo che credeva in quello che faceva e disposto a lottare per un ideale. Manteneva la posizione, indipendentemente dal consenso del momento. Per questo, era un Politico con la P maiuscola.  Ho lavorato a stretto contatto con lui per diversi anni ed è stato per me una persona speciale. Nel tempo ho compreso anche le (poche) scelte che non avevo condiviso appieno. Dopo la parentesi politica si è sempre dimostrato un amico. Sapevo delle sue condizioni, ma quando qualche giorno fa mi ha mandato il suo ultimo libro (il giallo ambientato al Viminale), ho sperato nel miracolo. Fino all’ultimo (come hanno ricordato i suoi familiari) è riuscito a trasmettere ottimismo. Il Tuo passaggio ha lasciato davvero il segno, ciao Bobo.              

È il ricordo che l’ex governatore del Piemonte Roberto Cota affida allo Spiffero dopo la scomparsa del collega e amico Maroni, morto nella sua casa nel Varesotto all’età di 67 anni. Malato da tempo, Maroni era stato presidente della Regione Lombardia dal 2013 al 2018 e prima ministro dell’Interno e del Lavoro nei governi di centrodestra. Dal 2021, quando ha scoperto la malattia che lo ha condotto alla morte, si era ritirato dalla politica attiva. I funerali si terranno venerdì mattina a Varese.

“Lunedì notte alle 4 il nostro caro Bobo ci ha lasciato. A chi gli chiedeva come stava, anche negli ultimi istanti, ha sempre risposto bene. Eri così Bobo, un inguaribile ottimista. Sei stato un grande marito, padre e amico”. Con queste parole la sua famiglia ne ha annunciato la morte. Per poi salutarlo con una frase di Emily Dickinson: “Chi è amato non conosce morte, perché l’amore è immortalità, o meglio, è sostanza divina”.

Nato a Varese nel 1955, Maroni è stato per oltre vent’anni uno degli uomini politici più importanti d’Italia. A scuola fu uno studente di Legge che votava Democrazia Proletaria. Voleva fare il giornalista, divenne avvocato. L’incontro nel 1979 con Bossi cambiò la sua vita e se “lui è il papà della Lega – diceva – io ne sono la mamma”. Da quel giorno la politica diventò il suo lavoro, mentre il calcio – sfegatata la sua passione per il Milan – e la musica restarono solo passioni. Continuò sempre ad andare a San Siro e a suonare blues con l’organo Hammond nella sua band, i Distretto 51, oltre ad ascoltare i dischi del suo idolo Bruce Springsteen.

Fu tra gli 80 leghisti che rappresentarono per la prima volta la Lega in Parlamento nel 1992. Per due volte assunse il ruolo di ministro dell’Interno (dal 1994 al 1995, ricoprendo anche l’incarico di vicepresidente del Consiglio, e dal 2008 al 2011) e ministro del Lavoro e delle Politiche sociali dal 2001 al 2006. Nell’aprile 2012 fece parte del triumvirato che fino al congresso della Lega venne incaricato di sostituire la carica di segretario del partito lasciata da Bossi. Tre mesi dopo, al congresso, venne eletto segretario, rimanendo in carica dal 1° luglio 2012 al 15 dicembre 2013, quando gli subentrò Matteo Salvini (che nel salutarlo lo ha definito “Leghista sempre e per sempre”). Ma tutta la vita politica di Maroni è stata legata alla Lega, con rapporti non sempre facili sia con Bossi sia con Salvini. Da braccio destro del Senatur, infatti, ne è diventato avversario in più occasioni, a partire dalla caduta del primo governo di centrodestra nel 1995 quando si oppose alla sfiducia decisa da Bossi, venendo allontanato dal partito.

Durò poco, una lettera di scuse segnò il suo rientro nel partito e iniziò la fase dura della Lega secessionista, alla quale Maroni contribuì coniando uno slogan diventato poi storico, cioè "Prima il Nord". Ma la vera frattura con Bossi fu solo rimandata e arrivò nel 2012 quando le inchieste della magistratura travolsero tutto “il cerchio magico” attorno al segretario della Lega, accusato di tutto quello di cui la Lega aveva sempre accusato gli altri partiti politici. A capo della rivolta dei militanti ci fu proprio Maroni, colpito dal divieto di rappresentare la Lega in qualsiasi manifestazione ufficiale, fino a quando lo stesso Bossi comprese che era davvero arrivato il momento di fare pulizia e partecipò lui pure alla celebre serata delle scope di Bergamo, che segnò di fatto il passaggio di consegne tra i due.

Nel 2013, alle regionali in Lombardia, venne eletto presidente con il 42,8% dei voti. Non si ricandidò poi alle elezioni successive del 2018. Aveva annunciato la sua candidatura per diventare sindaco di Varese, ma la malattia lo ha costretto a rinunciare un anno fa. Risale a gennaio 2021 il ricovero all’ospedale di Varese in seguito a un malore. Maroni si trovava all'interno della sua abitazione a Lozza (Varese), quando si accasciò a terra. Dimesso poco dopo, aveva commentato: "E' stata dura ma ora è tutto sotto controllo. Mi sto sottoponendo agli accertamenti del caso". Erano quindi seguiti altri ricoveri, a Varese prima e Milano poi, e un intervento.

 

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