TRAVAGLI DEMOCRATICI

Gli scissionisti sul carro di Schlein

Il drappello dei bersaniani si prepara a rientrare nella Ditta. E chi meglio della paladina della sinistra dei diritti può spianare la strada? Scotto è già andato a riverirla al Monk mentre l'ex capogruppo di Leu Fornaro si rifugia nei tatticismi: "Cambiamo il nome al Pd"

“Con Elly abbiamo fatto Emilia-Romagna Coraggiosa, la lista che la portò a diventare vicepresidente della Regione, abbiamo già un’esperienza importante in comune”. Forse basta e avanza questo ricordo di Federico Fornaro, già capogruppo di LeU alla Camera e oggi deputato di Articolo Uno eletto nelle liste del Pd, per dire come si muoveranno gli scissionisti del 2017 al congresso del partito in cui s’accingono a rientrare. E poi, “certo la presenza di Arturo Scotto (il coordinatore di Articolo Uno, ndr) al Monk dove Elly Schlein ha lanciato la sua candidatura è un segnale importante”, aggiunge il parlamentare piemontese che, tuttavia, asperge di cautela quello che è difficile non definire un endorsement verso l’aspirante segretaria del  “nuovo Pd”.

“Noi poniamo la priorità che il percorso costituente del nuovo Pd, o come si chiamerà, sia vero, che il confronto politico sia serio. A valle di tutto questo c’è il tema di chi dovrà condurre il partito. Se in questo momento si anticipa tutto alla scelta dei nomi – osserva Fornaro – si finisce per bruciare la stessa fase costituente e, soprattutto, non si coglie fino in fondo la necessità di ripensare il posizionamento del Pd. Per intenderci: non si può ridurre tutto a una gazebata”. 

Nei ragionamenti del bersaniano di ferro, qual è il parlamentare alessandrino, c’è però anche tattica, oltre che strategia. Nei ragionamenti di Fornaro c’è anche la speranza che alla candidatura di Stefano Bonaccini in ticket con Dario Nardella si contrapponga una sola candidatura, evitando per esempio la divisione del fronte tra Schlein e Matteo Ricci.

“Una parte del Paese chiede cosa vuole essere il Pd e quale tipo di opposizione intende fare. Bisogna dare una risposta che non può ridursi solo al nome per il nuovo segretario”, osserva ancora l’ex capogruppo a Montecitorio per il quale sul tavolo c’è, eccome, anche la questione del nome del partito. “Bene ha fatto il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, a porla questa questione. Credo che i simboli abbiano un potere evocativo molto forte, quindi aggiungere “e del lavoro” al nome del Pd darebbe il segno di un cambiamento e anche una direzione di marcia. Questa tradizione laburista che in Italia non ha mai avuto grande fortuna, va invece recuperata anche per porre al mondo del sindacato, pur nell’autonomia che gli è riconosciuta, delle scelte di campo”.

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