PALAZZO LASCARIS

Il M5s gela il Pd e si prepara a correre da solo

Nel Consiglio regionale del Piemonte si discute la nuova legge elettorale e i pentastellati chiedono l'elezione di diritto del secondo candidato presidente sconfitto. Un tecnicismo che fa tremare i dem. Intesa lontana tra centrodestra e minoranze

Mentre uno prepara da mesi la proposta di nozze, l’altro ha già in mano le carte del divorzio. Lo ha capito suo malgrado Raffaele Gallo, numero uno del Pd a Palazzo Lascaris, quando il grillino Sean Sacco si è presentato alla riunione dei capigruppo sulla nuova legge elettorale per chiedere la riserva del seggio anche per il secondo candidato presidente sconfitto. Un tecnicismo che nella sostanza può essere letto come il tentativo di garantirsi lo scranno in caso di corsa solitaria. Non è un mistero, in fondo, che lui e Sarah Disabato si contenderebbero l’ambita candidatura a governatore se salterà l’alleanza col Pd. In questo momento, infatti, il Piemonte prevede che solo il primo candidato presidente sconfitto entri di diritto in via Alfieri (è stato il caso di Sergio Chiamparino alle ultime elezioni o di Gilberto Pichetto a quelle prima). Per portarsi avanti, Disabato ha anche lanciato una campagna sui social con il suo bel faccino in primo piano.

E mentre tra Pd e M5s calava il gelo, in Sala Morando, dove si è svolto il vertice, il centrodestra provava ad andare incontro alle opposizioni per portare a casa la nuova legge elettorale e la modifica dello statuto dell’ente che insieme introdurrebbero complessivamente fino a 12 nuove figure, tra consiglieri supplenti e sottosegretari, per un costo aggiuntivo di 11 milioni di euro in cinque anni. In fondo, come ha detto il capogruppo leghista Alberto Preioni “il taglio dei parlamentari non ci ha portato un voto” quindi tanto vale moltiplicare le poltrone, a partire dal parlamentino piemontese. Il centrodestra è deciso, tra le minoranze c’è più di una perplessità. “Il M5s non potrà mai sostenere un provvedimento che aumenta così i costi della politica” dice la grillina Disabato. Paolo Bongioanni di Fratelli d’Italia è il primo firmatario dell’iniziativa volta a istituire anche in Piemonte la figura dei sottosegretari. Nella sua proposta di legge si dice “fino a quattro”, quanti ce ne sono in Lombardia; come segno di buona volontà ha detto di essere pronto a scendere a tre. Il centrodestra ha fatto notare che anche le rosse Emilia-Romagna e Toscana si sono dotate di sottosegretari, in realtà ne hanno uno solo a testa. In più va detto che la Toscana ha una giunta composta da otto assessori, l’Emilia ne ha dieci, il Piemonte ben undici (peraltro non sempre in perfetta armonia).

La tutela dei territori più piccoli è il tema che sta maggiormente a cuore alla Lega, dove i consiglieri provenienti dalle piccole province del Nord sono tanti, a partire dal biellese Michele Mosca, primo firmatario della proposta di legge elettorale, all’ossolano Preioni, capogruppo. Al Pd interessa, invece, mitigare la soglia di sbarramento a salvaguardia dei suoi alleati: ora è al 4%, c’è la disponibilità della maggioranza di abbassarla al 3%. Al telefono con lo Spiffero il dem Gallo erige barricate e parla di una proposta che “penalizza il centrosinistra, non risolve nessun problema e aumenta i costi della politica”. La legge elettorale è collegata alla modifica dello statuto che necessita di una doppia lettura in Consiglio per questo nella maggioranza si cerca di accelerare i tempi e chiudere entro giugno. Difficile.

Ma pure tra Lega e alleati non manca qualche frizione: sui sottosegretari, per esempio, l’assessore meloniano Maurizio Marrone ha già fatto sapere le sue perplessità, mentre Forza Italia non vede di buon occhio i temerari tentativi della Lega di ripartire i resti su base regionale per assicurare qualche eletto in più alle province piccole: d’altronde è comprensibile che il capogruppo azzurro Paolo Ruzzola tuteli gli interessi del suo collegio, quello di Torino. Finora l’unica modifica su cui sono tutti d’accordo è la doppia preferenza di genere, peraltro imposta da una norma nazionale. Il Pd con Gallo riesuma l’ipotesi di “abolire il listino” per assicurare gli eletti ai collegi più piccoli. Insomma, se ne riparlerà. Una sintesi, al momento, sembra distante.

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