Fare i conti con la politica

Dopo il disastro elettorale in Lombardia e Lazio, oggi il segretario in pectore del Pd piemontese, Mimmo Rossi, lancia il “campo largo”  per il 2024, quando Pd e alleati dovranno sfidare Alberto Cirio (o chi per lui) per cercare di confermare la tradizione che da vent’anni vede alternarsi destra e sinistra alla guida del Piemonte. Dal 2000 a oggi si sono avvicendati Enzo Ghigo (Forza Italia), Mercedes Bresso (Ds), Roberto Cota (Lega), Sergio Chiamparino (Pd) e appunto Cirio.  A chi toccherà tra un anno? Rossi non ha dubbi, per essere competitivi serve far marciare sotto un’unica bandiera una coalizione ampia, che vada dal Movimento 5 stelle al Terzo Polo, che poi è anche la tesi di sinceri riformisti come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, che ieri, a urne chiuse, ha rimbrottato Carlo Calenda definendo una “sciocchezza” la sua fuga solitaria al fianco di Letizia Moratti. “Col maggioritario a turno secco si è competitivi solo unendo tutto il centrosinistra (sì, pure i 5s)” ha cinguettato Gori.

Questione di aritmetica, insomma. La stessa aritmetica che però dovrebbe mostrare in modo lampante ai dirigenti dem che se l’avversario supera il 50 percento, dall’altra parte puoi unire tutto e il suo contrario, ma resterai comunque in minoranza. Ed è questo il campanello d’allarme più forte che è suonato ieri. In Lombardia Attilio Fontana è stato eletto con il 54,7% dei voti, nel Lazio Francesco Rocca ha ottenuto il 53,8%. È l’aritmetica, prima della politica, a dire che tutte le forze alternative, anche se unite, avrebbero perso.

Forse per questo, prima di parlare di alleanze il Pd dovrebbe capire bene cos’è e chi vuole rappresentare perché certo questo raffazzonato congresso costituente messo in scena da Enrico Letta non ha chiarito i dubbi, anzi se possibile li ha aumentati. Un mesetto fa, ormai, Fabio Martini in poche righe ha raccontato con implacabile efficacia quel che sta accadendo nel primo partito della sinistra italiana: “Molto raramente negli ultimi 30 anni si è visto un processo politico tanto bizantino e così ricco di trucchi coma la Costituente del Pd. Una Carta dei valori scritta prima che si pronunciassero gli elettori. Come se Badoglio avesse convocato le elezioni per la Costituente e contestualmente avesse emanato la nuova Costituzione. Sono stati chiamati partiti, associazioni, movimenti. Non si è presentato nessuno. Tranne Articolo Uno col quale c’era un accordo da mesi. E la chicca finale: c’era chi voleva un Manifesto dei valori tutto nuovo, chi voleva mantenere il precedente. Sono stati tenuti tutti e due”. Questo è il partito che si prefigge l’obiettivo di tenere insieme tutte le forze alternative a un centrodestra che straripa nelle urne nonostante la fatica del governare? Che il nuovo leader sia Stefano Bonaccini o Elly Schlein pare difficile.

E non stupisce anche la disaffezione degli elettori, perché a stare a casa sono quelli di sinistra, paradossalmente coloro che tradizionalmente si sentono più legati al rito delle urne. I più affezionati. La sinistra militante che non rinuncia(va) a esprimere il suo voto. Lo zoccolo duro. E invece questo Pd ha fatto passare la voglia di votare persino a loro.

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